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DEL FANTASTICARE
Elémire Zolla
PORTICO
CRITICA E SAGGI
BOMPIANI
© 1964 Casa Ed. Valentino Bompiani, Milano
"The poet and the dreamer are distinct,
Diverse, sheer opposite, antipodes.
The one pours out a balm upon the world,
The other vexes it."
JOHN KEATS, The Fall of Hyperion
"Tutte le forze del sogno gonfiavano il cuore dei Terrestri rivolti
all'Assunzione dell'Uomo. L'anima immensa aveva valicato il secolo,
accelerato il tempo, profondato la vista nel futuro, inaugurato la no-
vissima età. Il cielo era diventato il suo terzo regno, non conquiso col
travaglio dei macigni titanici ma col fulmine schiavo."
GABRIELE D'ANNUNZIO, Forse che si forse che no
LA FANTASTICHERIA
Esistono luoghi dove si è condannati a fantasticate:
la catena di montaggio, il colombario burocratico, la sala
d'attesa, la prigione, ogni radunanza dove manchi la pas-
sione spirituale o l'esercizio dei muscoli se non della
mente.
Allorché comparvero le catene di montaggio si osò
congetturare che gli operai addetti (o, che è lo stesso,
coloro che sorvegliano i quadranti delle fabbriche auto-
matiche o i guidatori al volante su un'autostrada), una
volta perfettamente allenati alle loro manovre meccani-
che, avrebbero avuto la mente del tutto sgombra per pen-
sare. In verità alla catena di montaggio e in altrettali fran-
genti l'uomo può soltanto fantasticare.
La differenza tra fantasticheria e pensiero, sia pure un
pensiero riccamente nutrito di fantasia, è manifesta; ba-
sta il colpo d'occhio su due opposte figure: l'uomo che
fantastica seduto in un'anticamera con il piede o la mano
che tradiscono nei loro movimenti automatici e nervosi
il lavorio dell'immaginazione, e, di contro, l'uomo che
medita o contempla, assorto senza alcun gesto o contra-
zione.
Nella lingua italiana la condanna della fantasticheria
era implicita: fantasticamente voleva dire nel buon se-
colo: con modo rincrescevole, molesto ed in latino l'uo-
mo fantastico si diceva morosus, che significa altresì stra-
vagante, morboso.
Opera fantastica equivaleva per la Crusca a "senza
fondamento" e uomo fantastico era come dire intrattabi-
le dall'aver sempre la fantasia occupata. Dunque non si
distinguevano il rêveur e l'uomo molesto, stranito che an-
dasse producendo fantasime, incubi. L'atto del fantasti-
care dicevasi altresì stillare il cervello, mulinare, ghiribizza-
re, girandolare, grillare. Con curiosi giochi d'immagini, il
repertorio delle locuzioni popolari esortava a "non aver
grilli per la testa" e tanto più, a "non mettere in vali-
gia", cioè nella pancia, il grillare o ribollire della fanta-
sia. L'uomo fantastico veniva posto sotto l'egida del gril-
lo, suo animale totemico, cui egli si condannava a rasso-
migliare. Il grillo è inquieto e capriccioso, l'opposto del-
l'ape operosa e sapiente; quello ha voce stridula, eccita-
ta e monotona, questa, viceversa, grave, maestosa e mo-
dulata. L'ape è un animale sacro talché porge insegna-
menti a chi la osservi e simboleggia il pensiero; il grillo
sta agli antipodi, sa modulare il suo canto solamente
quando gli si accosta la femmina; quando poi è della
specie affine alle talpe, si scava cunicoli sotterranei e rie-
sce disastroso alle piante poiché divora le tenere radici.
La fantasticheria, come il grillotalpa ai coltivi, è esiziale
alla cultura dei sentimenti.
Il genio della lingua ordina in varie specie il fantasti-
care: l'arzigogolo è quello del truffatore, simile all'alma-
naccare che però è più futile, come stabili il Tommaseo;
il cincischiare è del linfatico e l'armeggiare del nervoso,
l'immaginarsi cose infondate è poi altra cosa dall'immagi-
narie, essendo più morboso. In latino fantastico si diceva
anche cerebrosus, che in italiano si traduce lambiccato, ed
è aggettivo pertinente a chi si stilla, si rompe la testa in-
vece di abbandonarsi e che perciò smarrisce i doni della
prontezza naturale. Il fantastico non ha coscienza pura, ma
ha coscienza di aver coscienza: è compiaciuto.
Questo è un punto non facile da afferrare per men-
ti moderne: "L'attenzione estrema somiglia a un'inco-
scienza... quando si fa moltissima attenzione ad una cosa
non si ha tempo di saperlo... Si dice che si è agito mac-
chinalmente per designare atti mancati; di aver agito per
abitudine per designare atti che si sanno compiere. Si ha
coscienza del controllo che si esercita soltanto quando
qualcosa non va..."; tali sono i principi posti da Simone
Weil per distinguere fra i due ordini dell'attività mentale,
il luminoso pensiero e il grigio arrovellarsi o rimuginare
o trastullarsi con immagini mentali, ossia fra attenzione
e immaginazione.
Il fantasticare si presenta come cosa innocua, ma la lin-
gua italiana annovera il proverbio: "immaginazione fìs-
sa fa talora caso", a rammentarci che nessuno può fanta-
sticare impunemente, poiché presto o tardi le fantastiche-
rie pigliano corpo, e se ne palesa la deformità, come
di meduse tratte a riva, ridotte a gelatina.
"È un uomo tutto d'un pezzo", "non ha grilli per il
capo" sono lodi che raffigurano la sanità mentale non in-
sidiata dai piaceri segreti e aridi dell'immaginazione;
chi è coperto dal velo delle fantasticherie non può delibe-
rare prontamente, né pensare ordinatamente, né concede-
re il gioco spontaneo ai muscoli. Tant'è: ottima medicina
dell'immaginazione disordinata è l'esercizio armonioso del
corpo in paraggi e compagnie armoniose e lo sguardo
placido dell'atleta esercitato proviene dall'avere una men-
te sgombra di ubbie, fisime, fantasmi, al pari del pen-
satore.
L'uomo risentito e vizioso respira scorrettamente, ha
gesti privi di agio, è incapace di deporre nell'oblio gli av-
venimenti ma anzi li cincischia, allestisce castelli in aria,
ordisce "bei sogni", ha volto contraffatto o imbronciato o
vacuamente sorridente aux anges.
La fantasticheria può essere di tre specie: se si trastul-
la con il passato è il compiacimento, se gioca col futuro
è il desiderio, futile e obbrobriosa occupazione che sradi-
ca la forza della volontà; se tenta di impegnare altri
nel suo vizio è la bugia disinteressata, la chiacchiera fanta-
stica.
Sano è chi non conosce nessuna di queste tre facce
della dissipazione, come il contadino che, finita l'opera, af-
fonda di colpo nel sonno, e non necessariamente per spos-
satezza; come l'attento lavoratore e buon pensatore che
non si permettono sogni a occhi aperti. L'autorevolezza
è incompatibile con la fantasticheria, poiché d'istinto tutti
diffidano dell'uomo trasognato e tutti disprezzano d'acchi-
to come schiavo chi covi i torti patiti e tutti sanno senza
bisogno di venire ai fatti che chiunque stia nel glutine
delle sue immaginazioni è incapace di carità e di genero-
sità, essendo tutto perso a confezionarsi le sue bolle iri-
descenti di fandonie e desideri. I dannati dei quadri di
Bosch sono chiusi in globi di vetro. I fantastici sono timi-
di, e si reputano sfortunati perché non riescono mai a
dire nella realtà la battuta che arride loro nel rimuginio
e non sanno che proprio per aver abituato la mente a
escogitare battute durante i sogni a occhi aperti, l'hanno
altresì disabituata a pronunciarle tempestivamente.
L'uomo di mente disciplinata è spedito senza enfasi, e
quanto al parlare, pronto e mordace, capace di silenzio
e di severi piaceri, laddove, come dice Santa Teresa d'A-
vila "la malinconia fabbrica le sue chimere nell'immagina-
zione". Guai all'artista che si immagini le scene dei suoi
racconti o quadri invece di scoprirle seguendo docilmente
l'idea narrativa, la macchia figurativa; guai a chi ascol-
tando una musica campisca delle scene o guardando un
quadro si figuri che cosa sta per avvenirvi; l'educazione
estetica insegna proprio a svellere queste gramigne. E guai
anche all'uomo di azione che si dipinga nella mente quel
che gli deve accadere: il prigioniero del racconto di Bor-
ges immagina tutte le sevizie che gli possano mai inflig-
gere i carcerieri perché sa che nessuna immaginazione
può corrispondere al reale e spera perciò di esaurire men-
talmente tutte le possibilità di tortura. Un paradosso che
dovrebbe argutamente guarire dall'illusione che serva a
prepararsi alle prove della vita il lugubre esercizio d'im-
maginarsela.
L'immaginazione deturpa la capacità fantastica dell'ar-
tista, toglie energia a chi agisce, in torpida il pensiero di
chi riflette, e vera reminiscenza è l'involontaria, che non
sta a rovistare nella pattumiera della memoria. Come
dicono i versi danteschi: "tu stesso ti fai grosso / col falso
imaginar, sí che non vedi / ciò che vedresti, se l'avessi
scosso". Ogni educazione è allenamento a non fantasti-
care; a svegliarsi con nettezza, tagliandosi fuori dal son-
no, senza starsene a nutrire le chimere della notte, im-
parando a correre incontro alla luce; a non lasciare nella
giornata lacune in cui il presente possa essere sopraffat-
to dal passato o dal futuro. Soltanto col romanticismo co-
minciò a essere elogiato il sognatore, Fantasio o Pierrot,
ma tuttavia la ripugnanza naturale verso l'uomo sognan-
te continuò a esprimersi nella stima per l'uomo "deciso",
"che conclude".
Oramai i sogni a occhi aperti non sono più soltanto il
vizio della solitudine e dell'ignavia, ma una merce che
senza pudore viene prodotta e spacciata sotto specie di
vicende cinematografiche o televisive o di canzonette o di
irreali romanzi. A tutti è concesso di essere viziosi, nella
civiltà moderna, cosi longanime; purché i vizi sieno pre-
fabbricati. La longanimità verso i vizi si paga con la de-
gradazione dei vizi stessi, da privati a collettivi.
Come vincere la tendenza al fantasticare?
Rispondono varii simboli: il sistro che usava agitare
alle feste isiache, il rombo o raganella che si faceva fre-
mere durante le iniziazioni tribali, e che ancora oggi i fan-
ciulli inglesi fanno girare durante le partite di pallone,
la trottola che era oggetto sacro dei pitagorici, il rosario
che in quasi ogni religione si insegna a snocciolare rapi-
damente, le corse e i giochi con la palla che mirano a
tenerla costantemente in volo. Bisogna imprimere alle
immagini, alle parole che affiorino nella mente (o che ci
si vengano a imprimere attraverso i sensi) un movimen-
to celere, impedire che mai possano fermarsi. Mai ci de-
v'essere ristagno, tutto ci deve scorrere nella mente come
da una fonte, senza assembramenti o incanti: nulla può
accadere di male se col cuore della mente spingeremo
in vortice la massa delle immagini. Le acque stagnanti,
i rettili che strisciano sono emblema del male; il ser-
pente diventa sacro allorché è alato oppure allorché l'a-
quila lo solleva in alto: il miracolo è che s'innalzi ciò
che per natura striscia.
Una volta che si sia impressa la corsa alle immagini
mentali, si sarà sempre alla loro testa, imprendibili, o
al loro centro, immobili nell'occhio del tifone, come si
preferisce. Ciò che ostacola questa salvezza, che consiste
nel dare continuamente, virilmente, colpi alle immagini af-
finché passino in fretta, si chiama pietrificazione, incanta-
mento, legatura, ristagno. Cancellando le fantasticherie si
purifica la fonte della vita: "Poiché di dentro, cioè, dal
cuore degli uomini, procedano pensieri malvagi, adulterii,
fornicazioni, omicidii. Furti, cupidigie, malizie, frodi, la-
scivie, occhio maligno, bestemmia, alterezza, stoltizia. Tut-
te queste cose malvagie escon di dentro l'uomo, e lo con-
taminano" (San Marco, VII, 21-23).