Table Of ContentMito e psicologia analitica
Gli Inferi e la Malinconia
Alessandro Defilippi
Il bisogno di mitologia è il bisogno di senso.
C.G. Jung
Che cosa significhi vivere con o senza un mito.
C. G. Jung
1
Sommario
Mito e psicologia analitica .............................................................................................................. 1
1. Introduzione .................................................................................................................................. 3
2. Storie ............................................................................................................................................... 6
3. Un po’ d’ordine .1 ....................................................................................................................... 39
4. Un po' di teoria ........................................................................................................................... 56
5. Una grande storia: Gilgamesh ................................................................................................. 63
6. Un po’ d’ordine .2 ....................................................................................................................... 81
7. Altre storie ................................................................................................................................... 87
Interludio: mitopoiesi ................................................................................................................. 103
2
1. Introduzione
1.
Quando iniziai a preparare questa serie di seminari mi trovai di fronte a un
problema di metodo. Il loro fine pratico è quello di preparare gli allievi dell’ARPA
al terzo esame e in particolar modo al modulo dedicato alla mitologia. Quindi, in
teoria sarebbe stata necessaria una certa organizzazione del testo, per così dire
didattica. Pensai in un primo tempo di dare al tema una scansione concettuale. Il
metodo presentava il vantaggio di semplificare l’ascolto e soprattutto
l’orientamento in un campo di estreme complessità e varietà. Mi resi però presto
conto che non era possibile sottrarsi ai molteplici rimandi e collegamenti che ogni
argomento trattato suscitava. Un tentativo seppur minimo di sistematizzazione
avrebbe tolto al tutto la dinamicità e l’inevitabile ambiguità che i miti portano. Le
storie si richiamano tra di loro, tessendo una fitta tela anche tra luoghi e tempi
lontani. E d’altro canto, non rei stato certamente in grado, non essendo uno storico
delle religioni, di dare ragione in modo organico dei temi mitologici.
Decisi pertanto di adoperare un altro metodo, centrato sulla narrazione. Soltanto
un andamento narrativo, rapsodico, può dar conto, seppure solo in parte, della
complessità e delle intime connessioni del mondo mitico. Questo fa sì che nel
procedere del nostro discorso saremo costretti a fare uno sforzo di elasticità e di
collegamento, interrompendo a volte il fluire di una storia per seguirne un’altra o
per precisare alcuni concetti. Mi rendo conto del rischio di confusività cui ci si
espone in questa maniera ma d’altronde ogni metodo è imperfetto e quindi
cercheremo di adoperare questo nel modo più proficuo possibile. Ci saranno
comunque momenti in cui ci fermeremo nell’oceano delle storie per cercare di
riassumere i temi principali che ne saranno emersi, soffermandoci su di essi per
ulteriori riflessioni.
Non c’è e non sarebbe possibile alcuna pretesa di completezza né di organicità in
quello che diremo. Per usare un termine che ci proietti subito nel campo di nostro
interesse, diciamo che cercheremo di compiere una circumambulazione intorno al
mito. Una circumambulazione augurale, al fine di ottenere qualche beneficio, che
sarà fatta di concetti, di narrazioni, di amplificazioni. Perché quello che noi
dobbiamo tornare a intuire è il senso del mito e del suo linguaggio e pertanto
anche il senso della narrazione. Questo ci conduce all’altro fine di questa serie di
seminari: quello di imparare a riconoscere e ad adoperare le categorie del mito,
nei racconti dei pazienti e nella nostra stessa vita. Come ho già riportato altrove,
Scarlett Thomas, una scrittrice inglese, scrive: “Abbiamo bisogno della narrativa
perché siamo condannati alla morte”.
3
Scarlett
Thomas
Questa frase costituirà uno dei nostri punti di partenza. Possiamo intenderla
come se dicesse: la narrativa è l’antidoto alla paura della morte; ci permette di
vivere più vite, anche se soltanto immaginalmente, e infatti il periodo delle grandi
letture è quello dell’adolescenza, in cui le possibilità paiono infinite e non si sono
ancora ristrette nei binari della quotidianità. Allo stesso modo in età avanzata
torneremo ad avvicinarci alla narrativa con voracità, come a esplorare tutto quello
che ci siamo perduti e che perderemo e anche come a battere strade nuove, ora che
il tempo si va riducendo. Non a caso Eliot scrive: “I vecchi dovrebbero essere
esploratori”.
T. S. Eliot
4
D’altronde, quelle stesse narrazioni che ci consolano e che ampliano l’esperienza
che abbiamo di noi stessi sono anche un modo di avvicinarci alla morte e di
aderire consapevolmente a essa. Basti pensare a un racconto come La morte di Ivan
Il’lic di Tolstoi o al mito di Alcesti, di cui parleremo tra poco: la loro lettura ha
qualcosa in comune con gli esercizi spirituali dei gesuiti, in cui ci s’immagina nella
morte. Ci immerge, anche tramite l’angoscia che ci trasmette, in un sentimento di
maggiore pienezza, di maggiore adesione alla nostra identità. Ci rende, in poche
parole, più centrati e consapevoli, dandoci una percezione di maggiore profondità,
allo stesso modo di quando prendiamo contatto consapevole con l’Ombra.
Diveniamo più coscienti della tensione tra i due opposti, Vita e Morte e di come ci
sia necessario cercare tra essi un personale equilibrio.
Ma in questo caso sto pensando alla morte, come a molti sarà chiaro, anche in
chiave hillmaniana, associando la nostra fantasia su di essa al regno infero, quello
stesso dei sogni e del sonno, alla profondità e quindi all’inconscio.
D’altronde Thanatos, la morte, Hypnos, il sonno e Oneiros, il sogno, sono fratelli,
figli di Erebos, l’oscurità e di Nyx, la notte: “Notte poi generò l’odioso Moros [il
destino] e Ker nera [la morte violenta] e Morte, generò Sonno, generò la stirpe dei
Sogni” (Esiodo, 211-212). Parlando degli Inferi, come sovente accadrà in questi
seminari, ci troveremo spesso quindi nel loro territorio.
Profondo e profondità sono parole che ricorrono nelle frasi precedenti. Di questa
profondità Hillman parla citando Eraclito: “Il logos dell’anima è profondo” e
quindi a noi toccherà cercare questa profondità per entrare in contatto con l’anima.
Ma di tutto questo diremo meglio più avanti. Aggiungo solo, per chiarezza, che,
quando parleremo di anima (anima come Seele e non come Anima), ci riferiremo,
con le parole di James Frazer, al “principio ignoto della vita” (Frazer, 6).
La seconda frase da cui partiremo è invece quella di Jung posta in esergo a
queste pagine: “Il bisogno di mitologia è il bisogno di senso”. Un senso che sia
contro l’apparente insensatezza dell’ineluttabilità della morte e della casualità della
vita. Ma anche di questo parleremo più avanti. Cominciamo piuttosto dalle storie.
5
2. Storie
1.
Condanna, morte, senso. Già in queste tre parole sembra condensarsi un mito.
Quello di Sisifo, ad esempio?
Re di Efira, “il più astuto degli uomini” come lo definisce Omero, Sisifo è un
esempio di hybris. Riuscì a ingannare, non è stato tramandato come, persino
Thanatos, la morte, incatenandola. Così, da quel momento, nessuno morì più, con
grande smacco di Ade, il Signore degli Inferi, che vedeva il suo regno privo di
nuovi sudditi. Andò avanti così finché Ares la liberò e le consegnò Sisifo stesso. Ma
questi, con un’altra astuzia, chiese a Thanatos la grazia di un ultimo colloquio con
la moglie, alla quale ordinò di non fare più alcun sacrificio agli dei inferi. E così
Merope fece, finché Persefone, stanca di non ricevere più omaggi e doni, non ne
liberò lo scaltro marito. Non si può togliere spazio al regno dei morti, si potrebbe
dire. Non si può non nutrirlo con altre morti e con omaggi, cioè con la riflessione
sulla stessa morte.
6
Nonostante la vittoria di Sisifo le regole sono altre: anche lui morirà e la sua
punizione sarà la condanna a una fatica priva di senso. Dovrà, a forza di braccia,
sospingere un enorme masso fino alla vetta di una montagna. Ma ogni volta, a
pochi passi dalla meta, il macigno tornerà a rotolare in basso, costringendo Sisifo a
riprendere da capo la sua insensata fatica. Il rifiuto della morte dunque non
produce senso, ma insensatezza.
Il Sisifo di Franz Von
Stuck
Condanna, morte, mitologia, senso. E una storia.
Meglio che a Sisifo andrà invece alla vecchia di una fiaba ungherese:
“Forse è vero, forse non lo è, ma c'era una volta una donna vecchia, vecchia. Ma
molto, molto vecchia, più vecchia del giardiniere che piantò il primo albero del
mondo. Ciononostante era piena di vita, e non si sognava per niente di morire. Era
sempre indaffarata in casa sua a lavare, pulire, cucinare, cucire, stirare e spolverare,
proprio come una giovane massaia. Ma, un giorno, la Morte si ricordò della vecchia
e venne a bussarle alla porta di casa. La vecchia, che stava facendo il bucato, disse
che non poteva andarsene proprio in quel momento: doveva ancora sciacquare,
strizzare, far asciugare e stirare le sue cose. A far in fretta, pensava che sarebbe stata
pronta, nel migliore dei casi, la mattina dopo; quindi, la Morte avrebbe fatto bene a
ritornare da lei il giorno successivo.
– Aspettatemi, allora, domani alla stessa ora, – fece la Morte e scrisse col gesso
sulla porta: «Domani».
Il giorno dopo la Morte tornò a prendere la vecchia.
7
– Ma, signora Morte, vi siete certamente sbagliata. Guardate sulla porta e vedrete
quando è fissato che veniate a prendermi, – osservò la vecchia. La Morte guardò
sulla porta e lesse: «Domani».
– Vedete, dunque, – aggiunse la vecchia. – Venite domani e non oggi.
La Morte se ne andò e ritornò il giorno dopo. La vecchia l'accolse con un sorriso
dicendo: – Ma, signora Morte, vi siete sbagliata un'altra volta. Non vi
ricordate d'aver scritto voi stessa sulla porta che sareste venuta domani e non
oggi? E così la storia andò avanti per un mese intero. Ma la Morte finì per stancarsi.
L'ultimo giorno del mese disse:
– Mi state ingannando, vecchia mia! Domani verrò da voi per l'ultima volta.
Ricordatevelo bene! –
E cancellò dalla porta quel che lei stessa aveva scritto e se ne andò. La vecchia, a
questo punto, dopo tanto riflettere pensò: «Mi nasconderò nel bariletto del miele, –
diceva fra sé e sé la vecchia. – La Morte non mi troverà certo lì dentro!». E si
nascose nel bariletto del miele, lasciando scoperto soltanto il naso. Ma subito pensò:
«Per l'amor del cielo, la Morte è furba! Mi troverà anche nel bariletto del miele e
mi porterà via!».
Saltò fuori dal bariletto e andò a nascondersi in una cesta piena di piume
d'oca. Ma subito pensò: «Per l'amor del cielo, la Morte è furba! Mi troverà anche
nella cesta». Mentre saltava fuori dalla cesta la Morte entrò nella stanza. Guardò
intorno e non riuscì a vedere la vecchia da nessuna parte, ma vide una spaventosa,
orribile figura, tutta coperta di piume bianche, e con qualcosa di denso che le
gocciolava di dosso. Non poteva essere un uccello, e neppure una persona: era,
comunque, una cosa terribile a vedersi. La Morte fu così terrorizzata che fuggì a
gambe levate, e non tornò più a cercare la vecchia”.
D’altronde, anche Hänsel, nella fiaba raccolta dai fratelli Grimm, ingannerà la
morte, dando da tastare, alla vecchia strega orba che lo ingrassa per cucinarselo e
mangiarselo, ossa spolpate e non le sue ormai grassocce dita. “Ora ad Hänsel
venivano cucinati ogni giorno i cibi più squisiti, poiché doveva ingrassare; Gretel
invece non riceveva altro che gusci di gambero. Ogni giorno la vecchia veniva e
diceva: -Hänsel, sporgi le dita, che senta se presto sarai grasso. Ma Hänsel le
sporgeva sempre un ossicino ed ella si meravigliava che non volesse proprio
ingrassare”. La fiaba continua poi con l’astuzia di Gretel, che, resasi conto che la
vecchia intende farla entrare nel forno, con un inganno convince lei a infilarvisi,
chiude il forno e accende il fuoco, salvando se stessa e il fratello.
Anche Alcesti sfugge alla morte e vale la pena di riprenderne la storia, narrata
da Euripide nell’omonima tragedia. Alcesti è la figlia minore di Pelia, re di Iolco, in
Tessaglia. Di tutte le figlie è la più bella e la più dolce e la sua mano è ambita da
molti pretendenti. Ma Pelia chiede che il futuro marito di Alcesti superi una prova
impossibile: aggiogare allo stesso carro due animali aggressivi e naturalmente
nemici, un leone e un cinghiale. Nessuno ne è in grado. Un giorno giunge a Iolco
Admeto, re di Fere. Giunge in compagnia di Apollo, che è stato bovaro –per
punizione- delle sue mandrie.
8
A questo punto però dobbiamo inserire la prima di molte divagazioni.
D’altronde, come scrive Maurizio Bettini, la mitologia è una rete di rimandi.
Potremmo aggiungere che, ad entrarvi da una qualsiasi porta, ci si trova impigliati.
Parliamo dunque del motivo che ha spinto Zeus a punire così Apollo, anche perché
questo mito ci introduce ancora di più nel tema che abbiamo accennato: condanna,
morte, senso.
Dunque, Apollo, giacendo con Coronide, una mortale, aveva concepito un figlio,
Asclepio. Figlio di un dio e di una mortale, un eroe, quindi, Asclepio venne istruito
nelle arti mediche dal centauro Chirone e ricevette il potere di guarire i malati e
risuscitare i morti. Ciò fece adirare Ade, che vedeva diminuire i suoi sudditi nel
regno degli Inferi e lo stesso Zeus, che temeva che così venisse abolita la grande
differenza tra uomini e dei, ossia l’immortalità. Per questa ragione Zeus incenerì
Asclepio con la folgore. Apollo, per vendicare il figlio, uccise i Ciclopi, che avevano
fabbricato la folgore e Zeus lo punì costringendolo a servire un mortale. Il nostro
Admeto. Asclepio venne poi comunque elevato al rango di un dio minore,
immortalato nella costellazione di Ofiuco.
Ma torniamo ad Admeto, che con Apollo s’era dimostrato un padrone e un
ospite gentile e rispettoso. Grato del trattamento usatogli durante la sua servitù,
Apollo lo aiuta a superare la prova. Solo un dio d’altronde poteva riuscirvi. E
sempre Apollo strappa al Fato la promessa che, quando giungerà l’ora della morte
di Admeto, egli potrà chiedere a qualcuno di sacrificarsi al suo posto.
Il matrimonio tra Alcesti e Admeto è felice, ma presto viene il tempo in cui
Thanatos bussa alla porta del re di Fere. Admeto chiede al padre e alla madre,
ormai vecchissimi, di sacrificarsi, ma entrambi rifiutano. E’ invece Alcesti, per
amore, a scegliere di seguire la Morte che la conduce all’Ade. Il giorno del funerale
della fanciulla giunge a Fere un antico compagno di Admeto, Eracle, che fu con lui
nell’impresa degli Argonauti. L’eroe, commosso e indignato, scende nell’Ade e
lotta con la morte, liberando infine Alcesti.
9
Alcesti velata in una moderna
rappresentazione teatrale
Tre vittorie sulla morte; la vecchina, Hansel e Gretel, Alcesti. Ma di quest’ultima
parleremo ancora.
Veniamo invece a Eracle, il cui ruolo nel mito è apparentemente quello del deus
ex machina, quindi dell’evento imprevisto che risolve una situazione. Non sempre
gli riuscirà una simile impresa, sebbene Eracle degli Inferi sia un habituée. In uno
dei tanti miti che orbitano intorno alla figura di Teseo, quest’ultimo accompagna
l’amico Piritoo nel mondo sotterraneo per soddisfarne la sfrenata ambizione di
rapirne la regina, la divina Persefone e farne la sua sposa. Ma Ade è potente e i due
vengono catturati e imprigionati su seggi da cui non è possibile alzarsi. Toccherà
ancora a Eracle tentare di liberarli. Vi riuscirà con Teseo, a costo di lacerargli le
carni dei glutei (e da allora degli Ateniesi si disse che avevano il deretano piccolo)
ma non con Piritoo. Quando cercherà di scioglierne i vincoli, la terra tremerà, e
anche Eracle capirà che una simile impresa non è concessa. Teseo dunque tornerà
tra i vivi, mentre l’amico, colpevole di un atto d’inconcepibile hybris, vi resterà
rinchiuso. C’è da dire, come vedremo parlando di Demetra e di Persefone, che un
tale atto sarebbe stato l’infrazione di un foedus importante, quello tra maschile e
femminile, tra il tempo immobile e il tempo ciclico delle stagioni, tra quel che sta di
sopra e quel che sta di sotto.
2.
Proviamo ora a capire che cosa ci dicono queste storie. Partiamo da una citazione
di Neumann, molto importante per noi, in relazione a ciò che abbiamo appena
narrato di Eracle nel fallimento del salvataggio di Piritoo: “L’eroe, proprio perché è
10
Description:nella sua psicologia eroica, l'inconscio era terra di conquista: “Là dove c'era l'Es dovrà esserci Persino un insospettabile come J. R. R. Tolkien,.