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LE STORIE
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di
Tucidide
A CURA DI
GUIDO DONINI
Volume primo
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UNIONE TIPOGRAFICO-EDITRICE TORINESE
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Prima edizione: 1982
Stamperia Artistica Nazionale - Corso Siracusa 37, 10136 Torino
ISBN 88-02-03668-3
INTRODUZIONE
A mia moglie Isabella
I
Ετῆμά τε ἐς αἰεὶ μᾶλλον Ἡ ἀγώνισμα ἐς τὸ παραχρῆμα ἀχού-
ειν ξύγκειται «[].ορετα αἱ Tucidide] è stata composta come
un possesso per l'eternità piuttosto che come un pezzo per com-
petizione da ascoltare sul momento » (I, 22, 4).
Queste famose parole, che compaiono verso la fine della parte
introduttiva delle Storie, possono servire come punto di partenza
per un esame di quelle caratteristiche dell’opera tucididea che ci
sembrano avere validità anche nel nostro tempo.
II
Colpisce innanzitutto in Tucidide la passione per la ricerca
della verità. Tale passione è evidente in primo luogo in I, 20-22:
nei primi due di questi tre capitoli lo storico, ultimata la cosid-
detta « Archeologia », la breve narrazione della storia greca dalle
origini fino al tempo della guerra del Peloponneso, confronta il
proprio metodo di laboriosa ricerca sugli avvenimenti antichi con
i resoconti fatti dai poeti e dagli altri storici; in I, 22 egli descrive
il metodo di ricerca di cui si è servito per la storia della grande
guerra che sta per narrare. Con una sicurezza e un orgoglio che
possono urtare, egli contrappone la difficoltà da lui incontrata
nella scelta degli elementi su cui fare affidamento per la storia
antica, alla facilità con cui invece la gente in generale (I, 20, 1),
gli Ateniesi (I, 20, 2), e gli altri Greci (I, 20, 3) accettano le tra-
dizioni, anche della propria città, senza esaminarle criticamente.
E conclude (I, 20, 3): «Così poco si affatica la maggior parte
degli uomini nella ricerca della verità ». In I, 21, 1 afferma la
superiorità della propria narrazione degli avvenimenti antichi su
quelle dei poeti e dei logografi (cioè gli autori di prosa, compresi
gli storici): ai primi imputa la tendenza ad esagerare e abbellire
i fatti, ai secondi rivolge l'accusa di aspirare al gradimento da
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parte dei propri ascoltatori più che alla verità. Anche in I, 22,
passando ai criteri con cui ha presentato i discorsi pronunciati
e i fatti accaduti durante la guerra del Peloponneso, Tucidide
sottolinea le difficoltà incontrate (inizio dei $$ 1 e 3). In questo
capitolo, più che di ricerca della verità si parla di sforzo per arri-
vare alla precisione (la parola dxplBewx si riscontra due volte:
in I, 22, 1 e I, 22, 2, a proposito, rispettivamente, dei discorsi
e dei fatti). Ma è chiaro che si tratta di un altro aspetto della
stessa realtà: e concludendo il capitolo (I, 22, 4) lo storico dice
che si considererà soddisfatto se la sua opera sarà ritenuta utile
da quanti vorranno vedere tò capéc, la chiarezza (cioè la verità)
negli avvenimenti della guerra.
A questo punto è opportuno chiedersi se sia giustificata o
meno la critica che, pur senza nominarlo, Tucidide muove al suo
grande predecessore, Erodoto, nei tre capitoli ai quali si è accen-
nato. Nato tra il 490 e il 480, e dunque una trentina d’anni prima
di Tucidide, e morto qualche anno prima del 420, Erodoto affrontò
difficoltà che Tucidide non conobbe: non essendo, diversamente
da lui, contemporaneo agli avvenimenti narrati, doveva, anche
per quelli più vicini al suo tempo, le guerre persiane, fare largo
uso di tradizioni orali, e aveva minori possibilità di consultare
persone che avevano preso parte al conflitto che costituiva l’og-
getto delle sue ricerche. Inoltre i suoi interessi si rivolgevano,
oltre che al mondo greco, a un’area vastissima di quello non
greco, ed era inevitabile che, entrando in contatto nel corso dei
suoi lunghi e numerosi viaggi con lingue e costumi diversi, non
sempre egli comprendesse le informazioni che la sua grande curio-
sità lo spingeva ad ottenere. Tuttavia, anche se è lodevole il suo
rispetto per i vari popoli da lui incontrati, rispetto che lo stimo-
lava a registrare scrupolosamente i racconti che gli venivano fatti,
e anche se non manca a Erodoto la capacità di distinguere tra
versioni più o meno plausibili degli stessi avvenimenti, nonché
quella di essere scettico o incredulo, spesso la mancanza di senso
critico, unita al suo senso poetico, al desiderio irresistibile di
presentare un racconto che sia interessante di per sé stesso, come
letteratura e non come storia, lo allontanano dalla verità. I due
errori per i quali Tucidide critica Erodoto (ma non solo lui, dato
che si riferisce genericamente agli altri Greci) in I, 20, 3, cioè
l'opinione che i re spartani avessero ciascuno due voti invece di
uno, e che vi fosse nell’esercito dei Lacedemoni un inesistente
«reparto di Pitane », sono modesti. È invece di maggiore portata
INTRODUZIONE II
la critica, a cui si è già accennato, espressa in I, 21, I, dovei
prosatori in generale sono visti come persone che antepongono
alla verità il gradimento dei loro ascoltatori, e riferiscono quindi
racconti che per la loro antichità sono troppo favolosi per essere
credibili. E ancora in I, 22, 4, prima di rivendicare per la sua
opera la presentazione della verità, riconosce che la propria nar-
razione sarà meno gradevole all’ascolto per l'assenza del favoloso.
L'accento posto in entrambi i passi sull’ascolto è una sicura indi-
cazione che Tucidide pensi anche, o soprattutto, a Erodoto, che
divenne subito popolarissimo grazie alle letture di parti delle
Storie che egli tenne ad Atene e a Olimpia.
Nonostante queste critiche, Tucidide doveva considerare ade-
guial rtesoocont o delle guerre persiane scritto da Erodoto, poiché
in I, 97, 2 egli vedeva la necessità di riscrivere solo la storia degli
anni che vanno dalla fine di quelle guerre alla guerra del Pelo-
ponneso, correggendo Ellanico, considerato troppo impreciso nella
cronologia del periodo e succinto. Ellanico di Mitilene, nato circa
una generazione prima di lui, è l’unico storico nominato da Tuci-
dide. Questo autore prolifico, di cui però rimangono solo fram-
menti, scrisse molte opere di carattere mitologico e geografico:
ma la sua opera più importante fu probabilmente la Storia del-
l’Attica, dalle origini fino ai suoi tempi (cioè gli ultimi anni del
V secolo), la prima del genere. Se Tucidide è così critico di questo
storico contemporaneo (che, pur dando molta importanza alla
mitologia nelle sue opere, ebbe il merito di cercare, attraverso
la sua lista di re e arconti ateniesi, di collegare il periodo mito-
logico a quello storico con una cronologia abbastanza precisa),
a maggior ragione dovevano sembrargli imprecisi gli altri logo-
grafi, di epoca più antica, anche quelli di una certa importanza,
come Ecateo di Mileto (vissuto a cavallo tra il vi e il v secolo):
grande viaggiatore, fu precursore di Erodoto (che se ne servì)
per il carattere geografico ed etnografico della sua Pertegesis.
Ma non poteva essere gradito a Tucidide il fatto che Ecateo
scrisse un’opera in ben quattro libri di carattere mitologico (le
Genealogie), anche se i miti erano modificati da interpretazioni
razionalistiche.
Nei riguardi dei poeti Tucidide respingeva le loro esagerazioni
(come in I, 10, 3), ma non le grandi linee delle loro opere. Nel-
l’Archeologia egli accetta la storicità della guerra di Troia, e in
I, 10, 1 asserisce che Omero e gli altri poeti avevano ragione
nel considerare grande la spedizione condotta contro Troia dai
12 INTRODUZIONE
Greci (e in I, 9, 4 cita Omero come fonte per la vastità del regno
di Agamennone)! La grande differenza tra Tucidide e i suoi
predecessori sta nell’interpretazione delle testimonianze fornite
dai poeti ai fini della ricostruzione della storia antica: egli si
serve criticamente sia di esse, sia delle tradizioni tramandate
dai logografi, sia della sua conoscenza delle condizioni di vita
nelle regioni più arretrate della Grecia, per costruire la sua teoria
secondo cui nell’antichità le città erano poco potenti rispetto
alla Grecia contemporanea, perché non si erano ancora sufficien-
temente sviluppati il commercio e la navigazione, attività che
potevano condurre a un’accumulazione di denaro e di risorse da
utilizzare nelle guerre.
La precisione e l’obiettività di Tucidide erano apprezzate
nell’antichità, se si pensa che non ci è noto nessun altro reso-
conto della guerra del Peloponneso, se non quello molto scarno
scritto da Diodoro Siculo (XII, 36 - XIII, 42). Ai nostri giorni
sono pochi i punti in cui testimonianze archeologiche, epigrafiche
o numismatiche hanno dimostrato l’imprecisione dell'autore. In
altri casi ci si può lamentare delle sue omissioni, come il fatto
che egli non parli del grande aumento, deciso nel 425, del tributo
imposto da Atene agli alleati, oppure l'aver trascurato molti fatti
salienti della storia persiana durante il periodo della guerra del
Peloponneso; o della sua oscurità, come nella descrizione dell’or-
ganizzazione dell'esercito spartano (V, 68). Ma in generale ci si
fida della sua affermazione di aver cercato scrupolosamente la
verità.
I modi in cui si manifesta la precisione di Tucidide nella sua
opera sono numerosi. Parlando del suo metodo di ricerca egli
afferma (I, 22, 1): «Quanto ai fatti avvenuti durante la guerra,
non ho ritenuto che fosse il caso di raccontarli secondo le infor-
mazioni avute dal primo che capitava, né come a me pareva,
ma ho riferito quelli a cui io stesso ero presente, e per quelli che
ho appreso da altri ho compiuto un esame su ciascuno di essi
con la massima accuratezza possibile ». Tale accuratezza si nota,
ad esempio, nelle scrupolose indicazioni dei nomi dei generali
e dei numeri dei soldati e delle navi, non solo per le città greche
1. Altri esempi della sua fiducia in alcuni elementi della tradizione sui
personaggi mitici sono in I, 3, 2, dove è accettata l'esistenza di Elleno,
figlio di Deucalione. Notevole è anche il passo (III, 104) dove lo storico si
basa sull’Inno omerico ad Apollo come testimonianza per l'esistenza in
tempi antichissimi a Delo di una grande festa panionica.