Table Of ContentMarxismo e cambiamento climatico
18 marzo 2019
di Carla Filosa
A chi si spende per esporre e condividere – divulgare forse sarebbe pretendere troppo date
le forze limitate – l’analisi di Marx in quanto tuttora l’unica in grado di far emergere una
realtà continuamente operante, ma nascosta all’evidenza di ciò che appare, giunge
immancabile la richiesta del “che fare”. L’urgenza di agire in qualche modo viene espressa
soprattutto da parte di coloro che intendono la teoria come una ricettina immediata della
pratica, e non la sua premessa propedeutica su una realtà sociale collettiva, di cui
individualmente si è sempre parte, ma la cui gestione efficace per i fini propostisi dipende
da un insieme di fattori storici, che inevitabilmente sfuggono anche alla migliore volontà
dei singoli. Oggi l’unico movimento veramente internazionale che sta scuotendo – almeno
si spera – le politiche mondiali è quello dei giovani e giovanissimi per il ripristino degli
ecosistemi, gravemente minacciati dal cambiamento climatico in atto. A un primo sguardo
sembrerebbe che quest’aggregazione immediata e spontanea non abbia niente a che fare
con “Il Capitale” e le sue leggi, con l’interesse per la sua conoscenza ostracizzata e
denigrata sin dai tempi della sua stesura in quanto ostacolo teorico al potere costituito, che
temeva soprattutto la sua efficacia pratica potenziale al tranquillo e contraddittorio
avanzare del modo di produzione capitalistico. Attualmente c’è chi sostiene ancora che
quell’analisi della storia, tuttora presente, sia stata scavalcata da altre (generiche, non si
sa bene quali!) dinamiche, e soprattutto che la realtà sociale sia mossa prioritariamente
dai gravi, quasi indipendenti problemi ecologici.
Per sostenere quindi che una difesa della natura e dell’ambiente, creato dalla società
umana che nella progressività produttiva dominante determina parallelamente la
contraddittoria distruzione sociale e ambientale, non può prescindere dalla conoscenza del
modo di produzione capitalistico e dalle forze sociali accumulate per superare questo
sistema, proviamo a mostrarne alcuni meccanismi fissati del suo funzionamento. Qui non
serve citare gli ultimi report sul disastro ambientale, evidenziati da ogni organo
d’informazione disponibile sui dati preoccupanti divulgati dagli scienziati, in quanto si
ritiene che la conoscenza di questo presente si può trovare con facilità, ma che non può
accontentarsi di cifre e date, pur utilissime, che prevedono il collasso del nostro pianeta.
Tutto ciò che Marx aveva scritto sulla natura diventa infatti la base per capire che solo il
sistema di capitale ha trasformato la concezione della natura da forza in sé, indipendente
e includente gli esseri umani, in un oggetto utile da sfruttare senza limiti. Gli unici limiti
riconoscibili, infatti, sono quelli imposti da questo modo di produzione, finalizzato alla
produzione di valore e plusvalore, ovvero allo sfruttamento illimitato dell’attività
lavorativa umana parzialmente obbligata alla erogazione di lavoro gratuito per
sopravvivere, così come delle risorse naturali da accaparrare in forma privatizzata, con la
violenza quando necessario. La utilizzazione delle risorse naturali nel sistema di capitale
non prevede ripristino delle stesse in quanto rientrerebbe nel calcolo di un costo da evitare,
così come non è prevista l’eliminazione o la riduzione nell’uso di sostanze differentemente
inquinanti – in aria, acqua, terreni – se queste risultano funzionali al processo produttivo
meno caro da far procedere a oltranza, finché possibile. I vari problemi emersi,
eufemisticamente denominati “criticità” sempre non si sa a danno di chi o da chi causati
in ogni parte del mondo – dall’eccidio di Bhopal (casuale riferimento indietro nel tempo,
come testimonianza della continuità dei fini dominanti) agli ultimi cicloni, tsunami,
tempeste tropicali, smottamenti, inquinamenti d’ogni genere e in ogni dove, ecc. – sono
continuamente indicati come calamità o naturali o comunque senza conseguenze civili o
penali se riconosciuti di natura sociale quali cause e responsabili ad opera del sistema.
Per amor di concretezza è bene rammentare o far conoscere, proprio ai più giovani, la
succitata strage perpetrata a Bhopal, in India, a 720 km a sud di New Dheli, il 3.12.1984 ad
opera della Union Carbide, Usa, colosso del mercato chimico mondiale, i cui dirigenti non
entrarono mai in nessun tribunale. Lo stoccaggio della fornitura dei pesticidi fu soggetto a
un abbassamento del livello di sicurezza – come da risparmio di costi di capitale – e
tragicamente fuoriuscirono nell’ambiente 40 tonnellate di isocianato di metile (MIC)
altamente tossico, sì da causare 3700 morti immediatamente e 16.000 nelle settimane
successive. L’antiparassitario sparse mercurio, piombo, diclorobenzene sul suolo e nelle
falde acquifere, determinando danni permanenti anche ai nati nelle generazioni
successive, dovuti a contaminazioni, oltre che dell’acqua potabile, di madri che ebbero così
i propri figli rovinati da labioschisi, paralisi cerebrali infantili, problemi respiratori, ecc.
Solo dopo ripetute insistenze legali le vittime immediate furono risarcite con soli 400$
ciascuna, a quelle successive non fu dato nulla. Inoltre, la Global Environmental Outlook
ha calcolato che un ¼ di morti nel mondo è causato da distruzione di ecosistemi, da
inquinamento atmosferico e dell’acqua potabile, da coltivazioni intensive e deforestazioni.
Passando per brevità in Italia, possiamo scegliere tra le incalcolabili vittime da
mesotelioma pleurico e il relativo inquinamento ambientale presente e futuro dovuto
all’amianto, determinate sin dal 1907 dalla ditta Eternit di Casale Monferrato in Piemonte.
I dirigenti di questa azienda pur sapendo della pericolosità del materiale, lo nascosero ai
lavoratori che poi ne morirono, e quelli che avrebbero potuto evitarlo rimasero al riparo
da ogni responsabilità giuridica. Altre produzioni ed estensioni dell’uso dell’asbesto sono
state riscontrate poi in tutta la penisola, per lo più ancora da scoprire di volta in volta (si
pensi solo alla sua sorprendente individuazione nel ponte Morandi recentemente crollato
a Genova!), mantenendo ovunque l’immunità da ogni conseguenza penale o da
risarcimento materiale alle popolazioni colpite. Senza dimenticare le vittime causate
dall’Ilva di Cornigliano (Genova) per il funzionamento della cokeria e dell’altoforno, cui
hanno fatto seguito da parte di dirigenti frodi processuali e tentata violenza privata contro
dipendenti, la messa a fuoco su quelle di Taranto, in particolare del quartiere Tamburi e
vicinanze, risulta maggiormente evidenziare la indifferenza naturale dell’economia
capitalistica circa la distruzione ambientale e umana. Inizialmente proprietà ex Italsider
con una produzione di 3 milioni di tonnellate annue di acciaio, l’Ilva di Taranto è passata
in circa 15 anni sotto la proprietà privatizzata del gruppo Riva a 11,5 milioni di tonnellate,
intorno al 1975. Siffatto aumento produttivo naturalmente privo di cure per la nocività
degli impianti, in quanto costo da detrarre ai profitti, ha determinato “disastro ambientale
doloso e colpevole, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele
contro gli infortuni sul lavoro, danneggiamento di beni pubblici, sversamento di sostanze
pericolose, inquinamento atmosferico”, come si legge dalle denunce ufficializzate. Passata
dal 2017 alla proprietà Arcelor Mittal Italy Holding (51%), Arcelor Mittal SA (31%),
Marcegaglia Carbon Steel Spa (15%), non si è ancora fatto nulla per ridurre l’impatto
ambientale e sanitario, come pure non è prevista la messa a norma degli impianti delle
emissioni diffuse e fuggitive, con l’acquisto di filtri ibridi (non gli efficienti e più cari Meros
della Siemens utilizzati in Austria) meno costosi e praticamente inefficaci al taglio delle
polveri. L’incremento produttivo ulteriormente programmato nell’immediato futuro
aumenterebbe sicuramente in tali condizioni il danno ambientale, ma l’indennità penale
assicurata ai dirigenti al passaggio di proprietà sembra consentire il varo degli obiettivi
della multinazionale.
Il movimento per “salvare il pianeta” è sicuramente importantissimo anche per mostrare
alle masse, per lo più sconfitte o inermi, che contrastare le tendenze politiche è una
possibilità concreta per una gestione razionale della vita di tutti. La difficoltà mostrata
però nell’individuare contenuti praticabili uniti alla forza per sostenerli e renderli
applicabili, rende presumibilmente fragile la speranza di un ascolto effettivo da parte di
una politica, espressione solo degli interessi proprietari dominanti a livello mondiale.
L’arroganza di questo sistema arriva al punto di fregiarsi, come un fiore all’occhiello, dei
contrasti che lo rendono più “democratico” se mostra di tollerarli mentre li svuota di
contenuto. Il pianeta non potrà essere salvato se non individuando nel modo di produzione
capitalistico la causa del suo degrado progressivo, negato, considerato comunque
secondario al fine unico dell’estorsione della ricchezza mondiale, di cui si è esclusivi
destinatari per diritto proprietario. È importante che ora le manifestazioni,
ideologicamente definite non violente e con un fine universale, aggreghino i giovani verso
una consapevolezza sociale, che sicuramente riuscirà ad azzerare l’individualismo e
l’isolamento che finora il capitale ha sparso come sua invisibile coercizione
comportamentale. È altrettanto importante che questi giovani possano crescere (più
rapidamente che si può) acquisendo i contenuti relativi alle cause reali dello sfruttamento
naturale e lavorativo – inglobato e reso invisibile nelle sue apparenze produttive
normalizzate e che invece minaccia la vita di tutti – per renderli obiettivo prioritario e non
solo ecologico contro cui lottare. Si può sperare che la forma internazionale che ora ha
coagulato migliaia di forze giovani può forse considerarsi un’umanità che si riconosce
assoggettata a un destino di distruzione contro cui si ribella, si fa classe mondiale contro
il capitale, comprendendo che il possibile disgelo dei ghiacci non è una calamità naturale
inevitabile, bensì dovuto all’uso predatorio e selvaggio di questa superabile “civiltà”
assolutamente non “eterna”.