Table Of ContentLuciano Floridi
CONTRO
L’ONTOLOGIA
www.etnografiadigitale.it DIGITAL1 E
Contro l’ontologia digitale
Sommario
L’articolo afferma che l’ontologia digitale (la natura ultima della realtà è digitale e l’universo
è un sistema computazionale equivalente a una Turing Machine) dovrebbe essere
attentamente distinta dall’ontologia informativa (la natura ultima della realtà è strutturale),
al fine di abbandonare la prima e considerare solo la seconda come una linea di ricerca
promettente. Digitale contro analogico è una dicotomia Booleana tipica del nostro
paradigma computazionale ma digitale e analogico sono solo “modelli di presentazione”
dell’Essere (per parafrasare Kant), cioè i modi in cui è sperimentata la realtà e / o
concettualizzata da un agente epistemico a un determinato livello di astrazione.
Un’alternativa preferibile è fornita da un approccio informativo al realismo strutturale,
secondo il quale la conoscenza del mondo è conoscenza delle sue strutture. L’impegno
ontologico più ragionevole è a favore di un’interpretazione della realtà intesa come totalità
di strutture dinamicamente interagenti tra loro. L’articolo è la prima parte (la pars
destruens) di una ricerca composta di due parti. La pars construens, intitolata “Una difesa
del realismo strutturale informativo”, è disponibile in Synthese.
Parole chiave
Analogico; continuo; digitale; ontologia digitale; fisica digitale; discreto; realismo
strutturale informativo; Antinomie di Kant; realismo strutturale.
Quest’articolo è la traduzione dell’originale “Against Digital
Ontology, Synthese” 2009, 168.1, (2009), 151-178 del
Professor Luciano Floridi. La versione originale dell’articolo
è direttamente scaricabile al link
http://www.philosophyofinformation.net/publications/pdf/ado.
pdf.
Luciano Floridi è Professore di Filosofia dell’Informazione
presso la University of Hertfordshire. dove è anche titolare
della cattedra UNESCO di Information and Computer Ethics.
È membro del St. Cross College (Università di Oxford), dove dirige l’IEG (Oxford
University Information Ethics research Group), di cui è anche fondatore.
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1. Introduzione
Negli anni recenti, l’antica questione circa l’evenienza che la natura della realtà sia
discreta o continua1 È stata riformulata nei termini più alla moda di ontologia digitale e
ontologia analogica. In tal modo, ha avuto una rinascita notevole. Comunque, come si
vedrà a tempo debito, questo è un tipico caso di vecchio vino in bottiglie nuove. Ed io
sosterrò che la conclusione di Kant, ottenuta in favore della vecchia e più classica
dicotomia in “antinomie della ragion pura” (Kant [1998], A 434-5/B 462-3), non abbia perso
alcuna validità se applicata alla più recente riformulazione della stessa scelta.
L’articolo è strutturato in altre quattro sezioni principali. La sezione due fornisce una
breve introduzione a ciò che è conosciuto come ontologia digitale. Nella terza sezione, la
più lunga, viene introdotto un nuovo esperimento di pensiero al fine di mostrare come
digitale (discreto) contro analogico (continuo) sia una dicotomia Booleana tipica del
paradigma computazionale della nostra epoca, ma che sia digitale che analogico siano
soltanto “modelli di presentazione dell’Essere” (per parafrasare Kant), cioè i modi in cui è
sperimentata la realtà e / o concettualizzata da un agente epistemico a un determinato
livello di astrazione (LoA). Non colgono alcune proprietà indipendenti – o livelli di
astrazione - della conoscenza, intrinseche al mondo esteriore. Anche se questa
conclusione si applica sia all’ontologia digitale che a quella analogica, l’articolo si
concentra principalmente sulla critica dell’ontologia digitale (da qui il suo titolo) poiché il
suo obiettivo positivo è quello di preparare il terreno per una difesa dell’ontologia
informativa, che viene spesso confusa con l’ontologia digitale. La sezione quattro chiarisce
ulteriormente l’argomento rispondendo a tra potenziali obiezioni. La sezione quattro, che
conclude l’articolo, fornisce una nota positiva e una spiegazione delle motivazioni più
costruttive per l'argomento sviluppato nelle sezioni precedenti. L’articolo è la prima parte (
la pars destruens) di una ricerca composta di due parti. La pars construens, intitolata “Una
difesa del realismo strutturale informativo” è disponibile in Synthese.
1Holden (2004) fornisce un’analisi ricca e illuminante del moderno dibattito, cui devo molto. Mi sono basato anche sull’eccellente
articolo di Lesne (2007).
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2. Cos’è l’ontologia digitale? It from Bit
Konrad Zuse2 è riconosciuto da molti come il padre dell’ontologia digitale3. Secondo lui e
gli ontologisti digitali in genere:
1) la natura dell’universo fisico (tempo, spazio e ogni entità e processo nello spazio-
tempo) è in ultima analisi discreta.
Questa tesi, con la quale saremo impegnati per il resto dell’articolo, può essere
accompagnata da (una selezione di) altre tre tesi correlate:
2) l’universo fisico può essere adeguatamente modellato da valori discreti come i
numeri interi;
3) l’evoluzione (transizione di stato) dell’universo fisico è calcolabile come l'output di
un (presumibilmente breve) algoritmo; e
4) le leggi che governano l’universo fisico sono interamente deterministiche.
Le tesi (1) e (2) rivelano la natura neo-pitagorica dell’ontologia digitale (Steinhart
[2003]): la realtà può essere scomposta in indivisibilia discreti e finali. I filosofi sono ancora
in disaccordo sulla precisa definizione di “digitale” e “analogico”4, ma accettano che una
necessaria caratteristica di ciò che significhi essere digitale per qualcosa è quella di
essere discreta e ciò sarà sufficiente per i propositi dell’articolo.
La tesi (3) interpreta l’ontologia neo-pitagorica in termini computazionali: i definitivi,
discreti indivisibilia sono cifre realmente computabili, mentre l’eleganza e il rasoio di
Ockham inducono gli ontologisti digitali a propendere per una teoria algoritmica più
semplice possibile (vedi Feynman [1992], citato sotto nel § 3.3.2). Così, un’ontologia
digitale “[…] è basata su due concetti: i bit, come le cifre binarie in un computer,
corrispondono alla più microscopica rappresentazione dello stato dell’informazione; e
l’evoluzione temporale dello stato è un processo digitale informativo simile a ciò che
accade nel circuito di un processore per computer.” (Fredkin [2003], 188). In poche parole,
“siamo gestiti da un breve algoritmo” (Schmidhuber [1997], p. 205).
2 Zuse è famoso per aver costruito il primo calcolatore binario elettromeccanico totalmente programmabile e totalmente automatico
(lo Z3), vedi Zuse [1993].
3 L’ontologia digitale è conosciuta anche come fisica digitale o metafisica digitale e filosofia digitale e ha una controparte
scientifica nella fisica digitale, vedi Steinhart (1998) per un’introduzione e Steinhart (2003) per un capitolo di revisione. Per una
bibliografia recente vedi http://digitalphysics.org/Publications/.
4 Il dibattito tra Goodman (i968) e Lewis (1971) sulla vera natura del “digitale” è stato recentemente rivisitato da Müller
(prossimamente). Sulla non necessaria distinzione tra sistemi discreti e discretizzati vedi Lesne (2007): “Ora sembra che non ci
siano ragioni per fare una distinzione fondamentale tra sistemi discreti e discretizzati: un oggetto sembra essere
intrinsecamente discreto, isolato inoltre, solo se si scelgono gli occhiali opportuni.” (p.14) Gli “occhiali” sono
interpretati più formalmente in questo articolo in termini di livelli di astrazione.
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Come per la tesi (4), ciò è presentato dai sostenitori dell’ontologia digitale5 come
una conseguenza diretta delle tesi (1) e (3) alle quali è esplicitamente correlata dalla
riluttanza di Einstein ad accettare la conclusione che l’universo possa essere
intrinsecamente probabilistico. La suggestione è che l’analisi delle leggi fisiche in termini di
transizioni deterministiche di stato possa essere resa compatibile con la natura
apparentemente probabilistica dei quantum phenomena, pur essendo sufficientemente
flessibile da superare altre critiche6.
La posizione che unisce la maggior parte dei sostenitori dell’ontologia digitale è riassunta
in ciò che è noto come tesi di Zuse:
ZT) “l’universo è in fase di calcolo deterministico su una sorta di enorme ma discreto
computer” (Zuse [1969]).
Il computer cui ci si riferisce nella tesi di Zuse potrebbe essere un automa cellulare. Ciò è
sostenuto da Zuse (1967), anche sulla base di Von Neumann (1966), da Fredkin (2003b)
e, più recentemente, da Wolfram (2002)7. Infatti, una variante meno generale della teoria
di Zuse è conosciuta come teoria di Fredkin-Zuse: “L’universo è un automa cellulare”
(Petrov [2003]). Alternativamente, il computer nella teoria di Zuse potrebbe essere una
Turing Machine universale, come suggerito da Schmidhube; o un quantum computer,
come proposto più recentemente da Lloyd (2006). Altri ben noti proponenti di versioni della
tesi di Zuse sono David Chalmers [1996], il premio Nobel Gerard
'T Hooft [1997], e Gregory Chaitin [2005]. L’ultimo ha esplicitamente interpretato
l’ontologia digitale come uno sviluppo contemporaneo della metafisica dei Pitagorici,
dell’atomismo di Democrito e della monadologia di Leibniz. Inoltre, nella Critica della
5 Fredkin (1992) presenta il punto con la solita chiarezza: “L’incertezza è il cuore della meccanica quantistica. La natura finita
richiede che si escluda il vero, localmente generato in maniera casuale poiché tali numeri non sarebbero, in questa situazione,
considerati finiti. …] La natura deterministica di processi digitali finiti è differente i quello che è il determinismo
inconoscibile. Da dentro il sistema, un osservatore non sarà mai in grado di conoscere molto circa il microscopico stato di quel
sistema. Ogni parte dello spazio sta calcolando il suo futuro il più velocemente possibile, mentre l’informazione si riversa in ogni
direzione possibile. Il risultato è lo stesso che è causata dall’apparente casualità dei processi di meccanica quantistica.”.
Vedi anche 'T Hooft [2002] e 'T Hooft [2005].
6 Per esempio, l’ontologia digitale sembra incompatibile con il teorema di Bell, ma una soluzione per bypassare
il problema, conosciuta come pre-determinismo ('T Hooft [2005]), è basata su quello che lo stesso Bell
riconosceva come una possibilità: se un modello è completamente deterministico, allora anche la decisione dello
sperimentatore di misurare alcuni componenti degli spin è completamente deterministica, così non può aver deciso
di misurare nient’altro che ciò che aveva deciso di misurare.
7 Per essere precisi, è stato sostenuto che non è chiaro se Wolfram intenda supportare la visione per la quale
l’universo è un automa cellulare classico. Wolfram riconosce i lavori di Zuse e Fredkin nelle pp. 1026-1027,
ma solo molto brevemente e sostiene che “nessun modello meccanicistico letterale può mai alla fine
realisticamente funzionare”. Io seguo l’interpretazione di Edwin Clark nel leggere questa come un rifiuto
dell’automa cellulare classico. Wolfram sembra avere in mente qualcosa di leggermente diverso: “[…] ciò che
deve accadere dipende dai fenomeni scoperti in questo libro – e include la comparsa di complesse proprietà
[…]”. Le potenziali differenze tra Fredkin e Wolfram su questo argomento, comunque, non sono significative per la
discussione sulla plausibilità dell’ontologia digitale.
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ragion pura, Kant chiamava Monadologista qualunque filosofo detenesse un’ontologia
“discreta”.
La prospettiva globale, emergente dall’ontologia digitale, è parte di un monismo
metafisico: in ultima analisi, l’universo fisico è un gigantesco computer digitale. È
fondamentalmente composto di cifre, invece che da materia o energia, con oggetti
materiali come manifestazione complessa secondaria, mentre i processi dinamici sono
delle specie di transizioni computazionali di stato. Non ci sono infiniti, infinitesimi,
continuità o variabili determinate localmente e casualmente irriducibili digitalmente. In
breve, la natura ultima della realtà non è liscia e casuale ma ruvida e deterministica8.
Giacché nel resto del presente articolo mi concentrerò solo sulla questione della
natura digitale o analogica della realtà, cioè la tesi (1) presente all’inizio di questa
sessione, lasciatemi terminare questa breve presentazione dell’ontologia digitale con un
commento finale circa la natura computazionale dell’universo fisico. Si tratta di una
distinzione importante che è bene mettere in evidenza e sulla quale tornerò brevemente
nelle conclusioni.
Abbiamo visto che come gli ontologisti digitali tendano ad avere una mentalità
computazionale e sottoscrivono quindi alcune versioni della tesi pan computazionale,
secondo le quali l’universo fisico è un sistema computazionale di qualche tipo, dove il tipo
è irrilevante fintanto che i modelli computazionali preferiti sono equivalenti, come Turing
Machine, automi cellulari, quantum computer o addirittura le reti neurali ricorrenti9. Ad ogni
modo, l’ontologia digitale e il pancomputazionalismo sono posizioni indipendenti.
Notoriamente, Wheeler supportò la prima ma non (per lo meno non esplicitamente) la
seconda. Come scrive lui stesso:
It from bit. Ovvero, ciascun “it” – ogni particella, ogni campo di forza, anche il continuum
spazio tempo stesso - deriva la sua funzione, il suo significato, la sua stessa esistenza
interamente – anche se indirettamente in alcuni contesti – dalle risposte generate
dall’apparato a domande si-o-no, scelte binarie, bit. “It from bit” simboleggia l’idea che ogni
8“ Una questione fondamentale riguardante il tempo, lo spazio e i loro abitanti è “Le cose sono lisce o
ruvide?” Talune cose sono ovviamente ruvide (materia, carica, momento angolare); per altre cose (spazio, tempo,
momento, energia) le risposte non sono chiare. La Natura Finita è l’assunzione che, a un certo livello, spazio e
tempo sono discreti e che il numero di stati possibili di ogni volume finito di spazio-tempo è finito. In altre
parole la Natura Finita assume che non c’è cosa che sia liscia o continua e che non esistono infinitesimali.”
Fredkin (1992).
9 Non conosco nessuno che supporti tale posizione, forse perché le reti neurali artificiali solitamente non sono
analizzate algoritmicamente, ma è disponibile nella misura in cui qualunque funzione calcolabile algebricamente
possa essere espressa come una rete neurale ricorrente, vedi Hyötyniemi [1996] e Siegelmann [1998].
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oggetto del mondo fisico abbia alla base – una base molto profonda, in molti casi – una
fonte immateriale e una spiegazione; quella che noi chiamiamo realtà nasce in ultima
analisi, dal porre domande si-no e dalla registrazione di risposte evocate
dall’apparecchiatura. In breve, che tutte le cose fisiche sono in principio informazioni
teoriche e che questo è un universo partecipativo (Wheeler [1990],5).
I processi fisici nell’universo partecipativo di Wheeler potrebbero, ma non lo necessitano,
essere riducibili a transizioni computazionali di stato. D’altra parte, pancomputazionalisti
come Lloyd (2006), il quale descrive l’universo con come una Turing Machine ma come un
quantum computer, possono possedere ancora un’ontologia analogica o ibrida10. Il
demonio di Laplace, per esempio, è un pancomputazionalista analogico. E ontologisti
informazionali come Sayre (1976), o io stesso (Floridi [2004] e Floridi [prossimamente])
non devono abbracciare un’ontologia digitale o una posizione pancomputazionalista come
descritto nella Tesi di Zuse. La distinzione tra ontologia digitale, ontologia informazionale e
pancomputazionalismo è cruciale per comprendere la strategia di questo articolo, che
consiste nel criticare l’ontologia digitale al fine di fare spazio a un approccio informazionale
al realismo strutturale, difeso in Floridi (prossimamente), pur non impegnandosi nel
pancomputazionalismo. Tornerò su questo punto nelle conclusioni. Con questa
chiarificazione in mente, possiamo ora passare alle obiezioni contro l’ontologia digitale.
2.1 Ontologia digitale: da problemi fisici a problemi metafisici.
Discutendo sull’ontologia digitale, sorgono due questioni separate:
a) se l’universo fisico possa essere modellato digitalmente e computazionalmente,
indipendentemente dal fatto che se sia realmente digitale e computazionale in se
stesso; e
b) se la natura ultima dell’universo fisico possa essere realmente digitale e
computazionale in se stesso, indipendentemente da come possa essere
effettivamente o adeguatamente modellato.
La prima è una questione empirico-matematica che, fino a ora, rimane incerta. Dirò un po’
di più a riguardo in questa sezione, ma il resto dell’articolo non si interessa ad essa. La
10 I computer ibridi posseggono caratteristiche dei comupter analogici e dei computer digitali.
La componente digitale normalmente serve come controller e fornisce operazioni logiche; la componente analogica
normalmente serve come risolutore di equazioni differenziali. Esonero da responsabilità di plagio: la definizione
precedente è la fonte della definizione corrispondente a Wikipedia, non viceversa.
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seconda è una questione metafisica che, nel resto dell’articolo, spero di dimostrare di
come sia mal posta e quindi, una volta risposto, che sia disapplicata.
Le risposte ad (a) e (b) sono spesso intrecciate. Il passaggio seguente di Edward
Fredkin, uno dei più zelanti sostenitori dell’ontologia digitale, fornisce un buon esempio di
una sintesi unificata:
[l’ontologia digitale] è un sistema totalmente atomistico. È presumibile che tutto il
fondamentale sia atomico o discreto; e, quindi, così è tutto il resto. In fisica la filosofia
digitale (che in questo articolo è stata chiamata ontologia digitale) assume che lo spazio e
il tempo siano discreti. Ci sono due modelli matematici di tale sistema. Il primo è l’analisi
diofantea; la matematica degli interi. Il secondo è la teoria degli automi; la matematica dei
processi digitali. Scegliamo la seconda poiché ha anche la proprietà di rappresentare
esplicitamente processi temporali discreti, mentre la matematica degli interi stabilisce
semplicemente un insieme di teoremi, rappresentando implicitamente solo processi
temporali. Tremendi progressi nelle scienze hanno seguito la scoperta del calcolo (e delle
equazioni differenziali parziali) come modo per rappresentare matematicamente le
relazioni fisico-temporali. Ma focalizziamoci altrove rispetto ai modelli fondamentali di
processi fisici. Ciò che dobbiamo domandare della filosofia digitale è l’eventuale abilità di
derivare, dai nostri modelli dei processi fondamentali di filosofia digitale, le stesse
equazioni matematiche che costituiscono la base della scienza attualmente. Il Game of
Life di Conway (un famoso automa cellulare) È un buon esempio di un semplice sistema
digitale e delle conseguenti proprietà emergenti. Assumiamo arbitrariamente che la
filosofia digitale rappresenti lo stato dagli schemi di bit, come avviene nei computer
ordinari. Tutte le trasformazioni fondamentali che possiamo compiere con i bit in un
computer sono realmente un sottoinsieme di quello che i matematici possono fare con gli
interi. […] I bit della meccanica digitale esistono in punti in uno spazio tempo digitale
regolare, dove ogni punto contiene un bit di informazione. Pensiamo lo spaziotempo come
digitale dal momento che è fatto di soli punti collocati, in cui tutte le coordinate sono
numeri interi. La teoria degli automi e la scienza dei computer ci portano a credere che la
rappresentazione dello stato tramite bit non impone alcuna limitazione al di là del fatto che
ogni cosa è in ultima analisi quantizzata. I computer e i relativi software sono le cose più
complesse mai fatte dall’uomo. In ogni caso, la computazione è basata sul più semplice
principio mai scoperto. Il nostro mondo è complesso e siamo alla ricerca di modelli
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semplici che possano starvi alla base. I principi della filosofia digitale ci richiedono di
trovare e iniziare con i più semplici modelli possibili. Dunque l’unità dello stato è il bit, che
è considerevolmente più semplice di un numero reale. (Fredkin [2003 b], 190-191).
Come illustra il passaggio, la posizione empirico-matematica e quella metafisica riguardo
all’ontologia digitale sono compatibili e complementari. Si consideri il seguente modo di
interpretare l’ontologia digitale. Simulazioni o modelli fisici possono condividere la stessa
ontologia con i loro sistemi o modelli simulati. Così, un tunnel del vento, usato per
investigare gli effetti della velocità del vento e il flusso attorno oggetti solidi, è davvero
ventoso, più o meno spazioso, può contenere diversi oggetti fisici e così via. Comunque, le
simulazioni digitali (al computer) o i modelli hanno spesso un’ontologia diversa da quella
dei loro rispettivi sistemi. Una simulazione di fluidodinamica computazionale, usata per
modellare e simulare il comportamento di flussi d’aria, non è né ventosa né bagnata di per
sé. In ogni caso, enfatizzo “often” perché non è sempre questo il caso. Ad esempio, le
simulazioni al computer sono usate abitualmente per testare e mettere a punto altri
programmi applicativi, nel qual caso simulatore e simulato condividono la stessa ontologia
digitale. L’ontologia digitale può anche essere interpretata sostenendo che uno possa
avere un modello digitale o una simulazione della natura ultima dell’universo fisico che
finisce condividendo la stessa ontologia digitale con il sistema modellato.
Anche se una domanda a (a) potrebbe poi spianare la strada a una risposta a (b), è
utile tenere le due questioni separate poiché affrontano sfide diverse.
La posizione empirico-matematica cerca di rispondere alla questione (a) ed è più
debole, e dunque meno difendibile, della posizione metafisica, che cerca di rispondere alla
questione (b), perché potrebbe evitare ogni impegno ontologico verso la natura ultima
della realtà. Il fatto che il sistema possa essere modellato e simulato digitalmente, ad
esempio come un automa cellulare, non implica che la natura intrinseca di tale sistema sia
digitale. Questa mancanza di impegno ontologico potrebbe essere un vantaggio e,
occasionalmente, la posizione più debole sembra essere tutto ciò che gli ontologisti digitali
desiderino mantenere. Toffoli [2003], per esempio, che simpatizza per l’ontologia digitale,
ha proposto di trattarla come una linea di ricerca euristicamente rilevante:
Sosteniamo che un aspetto non frivolo di questa Prospettiva Digitale è la sua capacità
euristica: di aiutarci nell’indovinare quali aspetti della nostra comprensione della natura
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siano più “universali”, più robusti, con più possibilità di sopravvivere a sfide teoriche e
sperimentali. Comportamenti indipendenti dal substrato – che possano, per esempio,
crescere bene su un supporto digitale, anche se tradizionalmente immaginati come facenti
parte di un continuum – sono candidati particolarmente promettenti. (p.147)
E Fredkin [online] stesso suggerisce che
Ci sono sistemi computer (automi cellulari) che possono essere appropriati come modelli
per fenomeni fisici microscopici. Gli automi cellulari sono in procinto di essere usati per
modellare vari fenomeni fisici normalmente modellati da equazioni delle onde,
fluidodinamica, modelli di Sino, etc. Noi ipotizziamo che verrà scoperta una regola dell’
automa cellulare singolo che modelli tutta la fisica microscopica; e che la modelli
esattamente. Chiamiamo questo campo DM, che sta per meccanica digitale.
Entrambi i passaggi potrebbero facilmente esser letti come rispondenti alla sola questione
(a).
Se l’ontologia digitale è una risposta ad (a) e non (anche) a (b), allora, anche se le
obiezioni contro il valore metafisico dell’ontologia digitale potrebbero essere corrette, nulla
può essere dedotto da loro con riguardo alla tenuta scientifica della fisica digitale
interpretata debolmente. Forse qualcuno potrebbe voler sostenere che la seconda
sarebbe danneggiata da una mancanza di un supporto ontologico ma, personalmente, io
dubito che ciò abbia grandi conseguenze sulla fisica digitale.
Dunque supponiamo che gli ontologisti digitali preferirebbero supportare la loro
posizione come una risposta ad (a) e non a (b), al fine di evitare complicazioni metafisiche.
Anche la posizione debole non è esente da problemi. In termini di ontologia empirica, la
maggior parte dei fisici ignora o è positivamente scettico circa il valore dell’approccio.
Nelle parole di un sostenitore dell’ontologia digitale:
Molti di quelli che sono intervenuti in questo meeting [il workshop “The Digital
Perspective”, organizzato da Edward Fredkin] esprimono il loro ottimismo riguardo alla
possibilità di descrivere modelli realistici dell’Universo in termini di scenari deterministici
“digitali”. La maggior parte dei fisici, comunque, sono profondamente consapevoli degli
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Description:discreta o continua1 È stata riformulata nei termini più alla moda di ontologia digitale e ontologia analogica. in una zona informatica, nota come metodi formali, in cui è usata la matematica discreta per .. Paradise Lost.