Table Of ContentLISA SCOTTOLINE
LA MORTE DEL CLIENTE
(Dead Ringer, 2003)
A mio padre
«Ci sono cose che è preferibile apprendere nella calma, e altre
nella tormenta.»
WILLA CATHER
1
Nella sua carriera, Bennie Rosato aveva atteso più di cento verdetti, ma
non per questo l'attesa era diventata più facile. L'aula era deserta, l'aria
immobile. Sentiva il ticchettio dell'orologio alla parete, ma forse era solo
la sua immaginazione. Era seduta accanto al suo assistito, Ray Finalil, che
si stava mangiando le unghie. Se avessero perso, la società di Ray avrebbe
dovuto rifondere danni per tre milioni di dollari. Con tremila bigliettoni ci
si compra una montagna di unghie.
Bennie si sforzò di mettere da parte le proprie ansie per tirare un po' su
di morale il suo cliente. «Sai come si fa a impedire che un avvocato affo-
ghi?»
«Come?»
«Gli si toglie il piede dalla testa.»
Ray non sorrise. Il suo sguardo rimase fisso sul banco vuoto della giuria,
le sedie di pelle nera ruotate in direzioni diverse. I giurati si erano ritirati
quella mattina e non erano ancora rientrati, così per Ray e Bennie era or-
mai arrivata la sesta ora di chiacchiere futili. Come essere sposati, pensava
Bennie.
«Okay, basta battute», disse lei. «Parlami delle partite di baseball di tuo
figlio. Fingerò di non sapere niente di corse alla casa base e di prese in ter-
za base.»
«Seconda base.»
«Vedi?»
Ray appoggiò il mento sulla mano. I suoi occhi scuri erano iniettati di
sangue dopo tre settimane di notti in bianco, e aveva le guance scavate:
aveva perso cinque chili durante il processo, anche se era innocente. Un
imputato non ne usciva mai bene. Se perdeva, doveva pagare il querelante;
ma anche vincendo gli toccava saldare l'avvocato. Era la Regola America-
na. E solo gli americani potevano tollerare una legge senza giustizia.
«Senti, Ray, non siamo obbligati a restare qui. Io ho con me il cellulare,
e il cancelliere ha il mio numero. Perché non facciamo un giro? Potremmo
andare a vedere la Liberty Bell. È solo a un isolato di distanza.»
«No.»
«Questa terra è la tua terra, Ray. Questa terra è la mia terra.»
«No.»
«Avanti, ti farà bene uscire a fare due passi.» Bennie si alzò stiracchian-
dosi e fece una rapida autoanalisi. Riteneva di essere una donna, e un av-
vocato, attraente, anche se era alta uno e ottantatré e aveva la struttura fisi-
ca di un'amazzone. Il tailleur cachi che indossava era stirato alla perfezione
e la camicia bianca immacolata. Aveva raccolto i lunghi capelli biondi e
ribelli con un fermaglio di tartaruga, ma non era truccata: niente che valo-
rizzasse i suoi occhi azzurri e niente che mimetizzasse le zampe di gallina.
Un ex fidanzato aveva definito la sua bocca «generosa», ma lei sospettava
che fosse un modo gentile per dire che era troppo grande. E in quel mo-
mento era contratta in una smorfia. «Non ti va di fare una passeggiata, al-
lora?»
«Quando credi che rientreranno?» Non c'era bisogno che Ray dicesse a
chi si stava riferendo.
«A fine giornata.» Bennie tornò a sedersi. Quanto meno, stiracchiandosi,
aveva allentato la tensione. Non ricordava l'ultima volta che aveva fatto un
po' di esercizio fisico. Nei due mesi precedenti, il processo aveva occupato
tutto il suo tempo, ma lo studio aveva bisogno di denaro. La crisi econo-
mica aveva investito anche gli avvocati: adesso la gente non si denunciava
più per un nonnulla. Possibile che si fosse a un passo dalla pace nel mon-
do?
«Non potrei sopportare un'altra giornata come questa. Sei sicura che
rientreranno oggi?»
«Sicurissima. Questo è un semplice caso di frode, viene giudicato da una
corte federale solo per questioni di giurisdizione. E le giurie ricompaiono
sempre il giovedì. Se rientrano oggi, potranno tornarsene a casa e godersi
un weekend di tre giorni.»
«Come fai a saperlo?»
«Saggezza processuale. Gli anziani la trasmettono ai novizi nel corso di
una cerimonia segreta.»
«Ma cosa staranno facendo, chiusi là dentro tutto questo tempo?» Ray si
grattò la fronte con quello che restava delle sue unghie. Dimostrava più dei
suoi cinquantun anni e stranamente era diventato più nervoso man mano
che il processo andava avanti. Ray non era un combattente. Era un com-
mercialista.
«Un giorno non è niente. Il processo è durato quindici giorni, con cento-
ventisei documenti probatori e ventotto testimoni. Vuoi che rientrino pri-
ma?» Bennie indicò le sedie vuote. «Continua a guardare quelle. Funzio-
na.»
Improvvisamente, la porta a pennelli adiacente alla pedana si aprì e il vi-
cecancelliere fece il proprio ingresso. Era un uomo alto e aitante, e il bla-
zer di poliestere che indossava emise un suono frusciante mentre avanzava.
Vedendo che si dirigeva verso di lei, Bennie si alzò. «Rientrano?» chiese
con il batticuore, ma l'altro scosse la testa.
«Hanno una domanda. Hanno mandato un biglietto al giudice. La corte
sarà in sessione fra cinque minuti. Il querelante è ancora nella sala riunioni
del procuratore?»
«Sì», rispose Bennie. Appena il vicecancelliere si fu allontanato, Ray
l'afferrò per la manica.
«Come sarebbe a dire, una domanda? La giuria ha una domanda? Quale
domanda?»
«Rilassati. Siediti.» Bennie scostò le dita dell'uomo e lo aiutò a sedersi.
«Sarà il giudice a leggerla. A quel punto noi...»
«Una domanda? Succede spesso? Non capisco. Che cosa vuol dire 'una
domanda'?»
«A volte capita. La giuria fa recapitare al giudice una domanda che può
riguardare le prove addotte o la giurisprudenza in generale. Non è niente
di...»
«Insomma, cos'altro devono sapere?» Ray si passò la mano tra i capelli,
che andavano diradandosi. All'inizio del processo sembrava che avesse un
cespuglio in testa. D'accordo, forse era un'esagerazione. «Chi ha stabilito
che possono fare domande? Perché possono fare domande?»
«Perché questa è l'America. Stai calmo, ora. Il sipario si alza.»
L'aula aveva improvvisamente ripreso vita. Lo stenografo era già rientra-
to, e si stava sgranchendo le dita prima di prendere il suo posto. Anche il
vicecancelliere e una giovane assistente tornarono ai rispettivi posti, di lato
e nella parte anteriore dell'aula. Il querelante e il suo legale sedettero al ta-
volo dell'accusa, e l'avvocato rivolse un cenno di saluto a Bennie.
Lei ricambiò, ma questo era il massimo della cordialità che poteva con-
cedere alla parte avversa, oltre a mostrare il dito medio da dietro il taccui-
no. Non le interessava farsi nuovi amici, quello che voleva era vincere i
processi. La sua lealtà andava tutta al cliente, anche a uno in preda al pani-
co come Ray. Specialmente a uno in preda al panico come Ray, che ora si
era chinato e le stava bisbigliando qualcosa da una distanza così ravvicina-
ta che lei avrebbe potuto scommettere su ciò che aveva mangiato a pranzo.
Ray Finalil era l'unica persona al mondo che mangiava ancora salsicce di
fegato e cipolle.
«Cosa credi che chiederanno? Secondo te che cos'è che non hanno capi-
to?»
«Zitto. Stai tranquillo.» Bennie si alzò all'ingresso del giudice William
Delburton, un magistrato con i capelli grigi nominato ancora da Carter, che
fino a quel momento si era dimostrato inflessibile ma imparziale. Delbur-
ton si sedette sulla sedia di pelle dallo schienale rigido, proprio sotto il pe-
sante sigillo d'oro dei tribunali degli Stati Uniti. In mano aveva un foglio
ripiegato, che esaminò mentre il vicecancelliere recitava le frasi di rito.
«In piedi!» tuonò quest'ultimo. Avrebbe anche potuto evitare di dirlo,
dato che le parti si erano già alzate e la galleria era deserta. «La corte è in
sessione, presiede l'onorevole giudice William Delburton.»
«Potete sedervi», disse il giudice. «Buon pomeriggio a tutti.» Lanciò u-
n'occhiata a Bennie, poi al tavolo del querelante. «Avvocato, l'avranno cer-
tamente informata che la giuria ha una domanda. Ora gliela leggo.»
Bennie finse di non accorgersene quando Ray le afferrò la mano. Duran-
te i processi gli uomini tornano bambini.
Il giudice Delburton inforcò gli occhiali da lettura, neri come la sua toga.
«Ecco la domanda: 'Siamo autorizzati a concedere al querelante una som-
ma superiore ai tre milioni di dollari richiesti?'»
Oh, mio Dio! Bennie aveva la bocca secca. Non era possibile. I giurati
erano impazziti. Ray crollò sulla sedia come uno di quei manichini che si
usano nei crash test.
Il giudice si volse verso il tavolo del querelante. «Avvocato, qual è la
posizione del suo assistito in merito alla domanda posta?»
«Grazie, Vostro Onore.» Il legale si alzò, senza curarsi di nascondere
una risatina. «La nostra risposta è sì. Oltre ai tre milioni di indennizzo, il
querelante ha diritto al risarcimento esemplare. Abbiamo dimostrato la na-
tura insidiosa della cattiva amministrazione e della frode perpetrata dalla
società dell'imputato e dal suo titolare, il signor Finalil. Un risarcimento
superiore ai tre milioni è più che giustificato.»
«Grazie.»
Delburton si tolse gli occhiali e guardò Bennie. «Avvocato Rosato, qual
è l'opinione della difesa al riguardo?»
«Grazie, Vostro Onore.» Bennie deglutì a fatica. Aveva le gambe molli.
«La risposta alla giuria dovrebbe essere no. La giuria non può aumentare
l'indennizzo se le prove del querelante di fatto non supportano tale aumen-
to. La giuria dovrebbe essere informata che il verdetto deve basarsi sugli
elementi probatori e nient'altro.»
«Grazie, avvocato.» Delburton tornò a inforcare gli occhiali e posò il fo-
glio sul banco. «Ho ascoltato le vostre argomentazioni, e ritengo che ri-
sponderemo in modo affermativo. Il querelante ha richiesto il risarcimento
esemplare, così che la giuria possa concedere un risarcimento superiore ai
tre milioni chiesti. La istruirò in questo senso.»
«Obiezione», disse Bennie automaticamente. Lanciò un'occhiata a Ray,
che sembrava sul punto di svenire. Il vicecancelliere riaccompagnò i giura-
li in aula, il giudice comunicò loro la risposta e poi li rimandò a deliberare.
Quindi, lui e i suoi collaboratori uscirono, mentre querelante e avvocato si
ritiravano gongolanti in corridoio. Bennie si rivolse a Ray, che ormai era al
limite della sopportazione. «Non agitarti», lo ammonì, ma era troppo tardi.
«E come faccio a non agitarmi? Non hai sentito quello che hanno det-
to?» Ray si tolse gli occhiali e si passò la mano sul viso, lasciandovi delle
striature rosse. «Vogliono dargli più di tre milioni di dollari!»
«Non è detto. Ammetto che fa una brutta impressione, ma con le do-
mande della giuria non si sa mai. Potrebbe...»
«È un disastro! Un disastro! Come possono farmi una cosa simile?»
«Ray, aspetta, calmati.» Bennie prese una brocca di plastica grigia e un
bicchiere di carta dalla pila rovesciata e lo riempì d'acqua. «Ascoltami, per
favore. Non sappiamo com'è saltata fuori la domanda, e non sappiamo che
cosa significhi. Non è detto che sia stata posta all'unanimità dai giurati, e
con ogni probabilità non è così. Magari qualcuno oggi si è svegliato male.
Succede...»
«Ma la domanda!» Ray ingollo un sorso d'acqua e ne rovesciò un po' sul
tavolo. «Non hai sentito la domanda? Che cosa farò? È assurdo! È una ca-
tastrofe!»
«Non credo che il querelante l'abbia spuntata. Non lo pensavi neanche
tu, ricordi? Eravamo sicuri che avremmo vinto, e a parte la domanda posta
dalla giuria non è cambiato nulla. La mia opinione resta la stessa.» Guardò
diritto negli occhi angosciati di lui, che la sbirciavano al di sopra del bic-
chiere. «Scharf è stato un pessimo testimone, rammenti? Era arrabbiato, e i
querelanti arrabbiati non la spuntano mai. Ricordi la mia teoria del 'quere-
lante arrabbiato'?»
«No!»
«Sì, invece.» Bennie si sporse in avanti. «Guardami, Ray. Ho già visto
dei casi simili. Tutti impazziscono quando i giurati formulano una doman-
da. La considerano una sconfitta certa. La gente si spaventa. Non perdere
la testa.»
«Ma hanno fatto quella domanda!»
«Dimentica la domanda. Non sappiamo che cosa significhi e comunque
non possiamo farci niente. La nostra difesa è stata ottima. Tu sei stato un
teste eccellente, e così Jake e Marty. Siamo dalla parte della ragione. Ab-
biamo detto la verità. Attieniti ai fatti.»
«I fatti sono che mi hanno incastrato! I fatti sono che mi faranno a pez-
zi!» Ray posò il bicchiere, rovesciando dell'altra acqua. «Non dovrei pat-
teggiare? Forse sono ancora in tempo.»
«L'ultima volta che abbiamo chiesto un accordo, volevano cinquecento
bigliettoni, e tu non li avevi. Cos'è? Nel frattempo hai rapinato una stazio-
ne di servizio?» Bennie non aspettò la risposta. «E sono sicura che ora
chiederebbero di più. Non possiamo fare altro che aspettare.»
«Ma è come aspettare di essere investiti da un treno! E io sono legato al-
le rotaie!»
«Ti ho detto di stare calmo.»
«Facile dirlo per te!» esplose Ray, e la sua voce echeggiò nell'aula vuo-
ta. «Se io perdo, tu non dovrai cacciare neppure un centesimo! Ti limiterai
a passare al caso successivo! Sei il classico, fottutissimo avvocato!»
Bennie si sentì ferita. Scese il silenzio. L'orologio alla parete ticchettava,
questa volta non ebbe dubbi. «In questa faccenda ci siamo dentro tutti e
due, Ray», disse dopo un istante.
Non si aspettava che lui le credesse.
Ma era la verità.
Appena mezz'ora più tardi, la corte era di nuovo in sessione, e i giurati
stavano tornando ai propri posti. Il capo dei giurati aveva in mano un fo-
glio. Era il verdetto, che conteneva un'unica domanda e la relativa risposta.
L'aula si zittì mentre tutti scrutavano la giuria, Bennie compresa. Si accor-
se che evitavano il suo sguardo e si sforzò di non prenderlo come un brutto
segno. Sentiva Ray inspirare rumorosamente lunghe boccate d'aria. Quanto
meno, aveva un'espressione un po' più viva.
Il giudice Delburton osservava la giuria al di sopra degli occhiali da let-
tura. Parlò solo quando tutti ebbero preso posto. «La giuria ha raggiunto un
verdetto?»
«Sì, Vostro Onore», rispose il capo. Si alzò e passò il foglio al vicecan-
celliere.
Bennie trattenne il fiato, Ray serrò i pugni. L'assistente porse il foglio al
giudice, che lo lesse restando impassibile. Lo restituì quindi al vicecancel-
liere, che gonfiò il petto prima di leggere ad alta voce: «Domanda: giudica-
te l'imputato responsabile nei confronti del querelante? Risposta: riteniamo
l'imputato non responsabile».
Sì! Sì! Sì! Bennie avrebbe voluto urlare di gioia. Avevano vinto! Rivolse
alla giuria un cenno di ringraziamento, mentre Ray le stringeva forte la
mano. Lo guardò e vide le sue labbra aprirsi in un ampio sorriso, e l'uomo
continuò a sorridere mentre il vicecancelliere rivolgeva la domanda a cia-
scun giurato e ne riceveva la risposta. Non responsabile! La giuria fu quin-
di congedata dal giudice, che lasciò l'aula insieme ai suoi collaboratori,
chiudendosi la porta alle spalle.
«Congratulazioni!» gridò Bennie quando furono soli, e Ray le saltò let-
teralmente al collo. Lei lo strinse con entusiasmo. Non ricordava l'ultima
volta che si era sentita così felice. E così sollevata. «Abbiamo vinto, Ray!
Grazie a Dio!»
«Ho vinto! Ho vinto!» urlò l'uomo, e gli occhi gli si riempirono di lacri-
me.
«È tutto finito!» Bennie lo abbracciò di nuovo. Non aveva mai visto un
commercialista piangere. Così imparava a raccontare barzellette sugli av-
vocati. «Goditela! Abbiamo vinto!»
«Lo so, non riesco a crederci.» Ray si tolse gli occhiali e si strinse la ra-
dice del naso tra il pollice e l'indice, cercando di riprendere il controllo.
«Me l'avevi promesso, e così è stato.»
«Non ti dirò te l'avevo detto.» Bennie prese la borsa e la ventiquattrore.
«Vieni, andiamo a festeggiare. Ovviamente paghi tu.»
Ma quando Ray riaprì gli occhi, sembrava di nuovo terribilmente infeli-
ce. Aveva la fronte corrugata, gli occhi lucidi e il labbro inferiore che gli
tremava.
«Ray, su! Abbiamo vinto! È finita!»
«Non è questo.» L'uomo si schiarì la gola e cercò il suo sguardo. «Ho
qualcosa da dirti.»
«Che cosa?»
«Non posso pagare.»
Bennie sorrise. «Stavo scherzando. Offro io.»
«No, quello che voglio dire è che non posso pagarti...» Ray raddrizzò le
spalle, «quello che ti devo, la tua parcella.»
«Certo che puoi.»
«Invece no. Mi sento un verme, ma non posso pagarti. Non ho soldi.»
«Certo che li hai.» Confusa, Bennie posò le borse. «Sei un buon cliente.
La parcella dell'ultimo trimestre me l'hai pagata e anche quelle precedenti.
La tua attività va bene.»
«Non proprio. Ho dovuto farmi prestare i soldi per pagarti il trimestre
passato, e pensavo di poterti pagare questo perché due dei miei clienti più
grossi avrebbero dovuto saldarmi. Ma il mese scorso mi hanno detto che
non possono, perché a loro volta non sono stati pagati dai clienti.» Ray si
passò la lingua sulle labbra secche. «Tutti e due faranno ricorso all'Artico-
lo Quattordici. E io farò lo stesso.»
«Bancarotta?»
«Sì.»
Bennie lo guardava a bocca aperta. «Non può essere!»
«È così.»
«Ma sei un commercialista, santo Dio! Voglio dire, com'è potuto succe-
dere?»
«Sono un buon commercialista, e un bravo uomo d'affari. Ma con la re-
cessione... è come un effetto domino.»
«Ray, io contavo sui tuoi soldi!» Quel trimestre Bennie aveva dedicato
al caso quasi duecentocinquanta ore. Anche se aveva fatturato cinquanta
dollari all'ora, restava comunque meno cara di un idraulico. «Mi devi quasi
quindicimila dollari. Non li posso perdere. Anch'io ho dei dipendenti.»
«Non posso pagarti, Bennie.»
«Ma puoi darmi almeno qualcosa, vero?»
«Neppure un centesimo. Mi dispiace.»
«Mi puoi pagare a rate?» Bennie era disperata. Non c'era da stupirsi che
lui si fosse fatto più nervoso man mano che il processo si avviava alla fine:
aveva davanti la prospettiva della bancarotta. E lei pure. «Senti, Ray, pos-
so lavorare con te. Anzi, lavorerò con te. Sei il mio cliente.»
«No, il tuo cliente è la società, non io. Questo è un debito societario, e io
non posso fare accordi collaterali.» Ray scosse la testa. «Quando avrò di-
chiarato bancarotta, potrai metterti in fila.»
«Sono il primo creditore, almeno?»
«In tutta sincerità, non sei neppure la prima tra gli avvocati. Prima tocca
ai miei avvocati societari, e poi al fisco.»
«Ma gli esperti che abbiamo chiamato per il processo? Ho garantito per
te. Quelli li devi pagare. Io non sarei autorizzata a farlo neppure se avessi
il denaro.»
«Mi dispiace.»
A Bennie girava la testa. Non riusciva a elaborare quelle nuove informa-
zioni abbastanza velocemente. Nella sua mente risuonavano ancora gli e-
chi della felicità per la vittoria. Aveva vinto e perso nello stesso momento
e ora non sapeva che cosa fare, né che cosa dire. Se fosse stata un po' più
accorta, forse non sarebbe successo. E Ray sembrava così avvilito che lei
non aveva neanche il coraggio di ucciderlo.
Fu per forza di abitudine che, afferrando borsa e ventiquattrore, disse:
«Devo tornare al lavoro».
Ma parlava più a se stessa che a lui.
2
Il venerdì mattina, Bennie continuava ad agitarsi sulla sedia e a incrocia-
re le gambe. Ma qualunque cosa facesse, non riusciva a trovare una posi-
zione comoda. Le prudevano i polpacci, le cosce le dolevano e aveva la
sensazione che la biancheria la stesse stritolando. Lei odiava i collant, ma
adesso aveva cose più importanti a cui pensare, per esempio il suo nuovo
cliente. Dopo la débâcle del giorno precedente con Ray Finalil, aveva un
bisogno disperato di un nuovo incarico. Ma, al momento, alla porta c'era la
guardiana della moda. Ed era implacabile.
«Sto entrando!» si annunciò Anne Murphy, e un istante dopo fece irru-
zione nell'ufficio. La giovane associata aveva lunghi capelli rossi, il fisico
di una modella e una laurea in legge a Stanford. Com'era prevedibile, al
suo arrivo alla Rosato & Associati, tutte l'avevano odiata all'istante, e solo
adesso cominciavano a perdonarle il suo DNA. La ragazza batté come un
sergente istruttore le mani dalle unghie curatissime. «Alzati! Fammi vede-
re!»
«Devo prepararmi per la riunione», obiettò Bennie che, in ogni caso, non
era certa di potersi alzare, visto com'erano stretti i collant.
«Fammi vedere.» Anne fece il giro della scrivania camminando sui suoi
tacchi vertiginosi. Indossava un abito di maglia nero che esaltava le sue.
curve. A vent'anni e rotti doveva ancora imparare che gli abiti di maglia
sono il nemico numero uno. La ragazza lanciò un'occhiata deliziata alle
gambe di Bennie. «Fantastico! Completano alla perfezione il tuo look!»
«E cioè il look da salsiccia in guaina naturale?» Bennie cercò di mettersi
in piedi per evitare la formazione di ristagni di sangue, e colse il riflesso
del proprio viso afflitto nel vetro della finestra. Per il resto, indossava lo
stesso tailleur cachi del giorno prima, e solo i capelli erano un po' meno in
disordine. «Queste calze sono troppo strette, Murphy.»
«Per fortuna me le ero portate dietro. Le tue erano troppo pesanti.» An-
nie fece un gesto vago verso il cestino della carta, da cui pendeva un paio
di collant inerte come una pelle di serpente. «Non posso credere che tu ti
metta quella roba. Avviso per Bennie: non metterti niente di ciò che ven-
dono nei supermercati.»
«Ma i gambaletti sono eccezionali.»
«Spero che tu stia scherzando.» Le passò un pacchetto luccicante. «Se
insisti a portare i collant, che come ti ho detto non si usano proprio più,
questi sono gli unici che non fanno schifo.»
«Non dire 'schifo' in ufficio», la riprese Bennie.
«Anche tu lo dici.»
«Non più. Sono a dieta di parolacce.»
«'Schifo' non è una parolaccia.»
«Shhh.» Bennie stava esaminando la confezione vuota, su cui era raffi-
gurata una donna nuda che faceva gli occhi dolci da sotto la targhetta del
prezzo. Non sapeva se fosse più sconcia l'immagine o il prezzo. «Murphy,
tu compri collant da diciassette dollari?»
«Naturalmente. Vuoi che il nuovo cliente ti prenda per una perdente?»
«Non sono una perdente», rispose subito Bennie, sulla difensiva. Era
uno dei migliori avvocati di Philadelphia, praticamente imbattuta sia nei
casi civili sia in quelli penali. Certo, era quasi al verde, aveva fallito in due
relazioni importanti e comprava i collant al supermercato, ma questo cosa
c'entrava? «Beh, che problema c'è a comprare i collant al supermercato?»
«Osserva quelli che ti ho portato. Il colore è perfetto.»
Bennie si guardò di nuovo. Quello che vedeva erano gambe muscolose
dovute agli anni di canottaggio, e una grossa vena che attraversava un pol-
paccio, con un coagulo simile a un piccolo nodo. Ma non riusciva a vedere
alcun colore, senza dubbio perché ormai non le circolava più il sangue nel-
le estremità. «Queste calze non hanno colore.»
«Certo che sì. Sono color 'nudo'.»
«Il nudo non è un colore, è un reato.»