Table Of ContentDaniele Bonfanti
Anunnaki:
Coloro che dal
Cielo scesero
sulla Terra
Libro elettronico
L’autore
Daniele Bonfanti (d.bonfanti@xii-
online.com): editor, giornalista
divulgativo, pianista, ex campione di
kayak e alpinista. È autore di romanzi
e racconti tra weird, azione, orrore e
fantascienza; ha curato raccolte tra cui
Archetipi e Carnevale; attualmente
lavora come editor-in-chief per
Edizioni XII e dirige la collana Camera
Oscura, dedicata alla narrativa
esoterica. Cura due rubriche fisse
legate ai misteri antichi sulla rivista
Hera e collabora come articolista con
vari portali Web, tra cui
LaTelaNera.com. Il titolo del suo
ultimo romanzo, recentemente
tornato in libreria in una nuova
edizione, è Melodia.
Idea, progetto grafico e adattamento dei testi (qualora ritenuto necessario)
a cura della redazione di “Tracce d’eternità”.
Supervisione di Simonetta Santandrea
Fotografie fornite dall’autore
Parte del contenuto di questo saggio, in una versione oggi riveduta,
è stato già pubblicato sul numero 110 del mensile Hera
© 2010 di Daniele Bonfanti. Tutti i diritti riservati.
Edizione elettronica in download gratuito dal portale simonebarcelli.org
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Indice
pag.
Prefazione 4
Premessa: breve apologia della
“fantarcheologia” 7
Capitolo 1: La Storia degli Anunnaki 14
Il Mito come Storia, non come “storie” 24
Capitolo 2: Scritto nell’argilla 36
“Si chiamava Oannes” 43
Enoch 47
Una Hiroshima nell’Età del Bronzo 48
Enuma Elish 52
Capitolo 3: La misura del Tempo e dello Spazio 58
Prisca Sapientia 63
Antichi telescopi di cristallo di rocca? 69
L’orologio dei Giganti 72
Capitolo 4: Dogon Connection 76
Le obiezioni 81
Le conclusioni? 84
Capitolo 5: Pianeta X 92
Vita su un pianeta gelido e buio? 96
Capitolo 6: Il DNA di Dio 98
Gli Anunnaki di Nikola Tesla 101
Panspermia guidata 102
Il DNA ci parla? 104
Gli Anunnaki tra romanzo e realtà:
una chiacchierata con Danilo Arona 106
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Prefazione
di Gianluca Rampini
L’origine dell’uomo. Questo è, in ultima analisi, il mistero che
Daniele indaga in questo libro. Con obiettiva ironia lo fa
smontando e rimontando le ipotesi più accreditate, soprattutto
quelle che prevedono un intervento esogeno nella nostra
evoluzione. Che la scienza ufficiale sia ben lontana dall’avere una
risposta è sotto gli occhi di tutti e, per paradossale che sia, sono le
teorie alternative a fornire le ipotesi di lavoro più sensate. Non
bisogna credere inoltre che l’occuparsi di questi argomenti sia solo
un nobile passatempo, perché nella vita di tutti i giorni persistono
elementi la cui chiave di lettura rimanda a quei tempi in cui, alcuni
di noi suppongono, la Terra fosse stata sotto il controllo di una
razza evoluta. È difficile dire se propriamente aliena o
semplicemente molto più antica della nostra. Alcuni esempi:
quando in chiesa i credenti dicono Osanna, con tutta probabilità e
involontariamente, perpetuano il tributo al dio pesce Oannes, che
uscito dalle acque portò la civiltà in quella che noi definiamo
“Mezza Luna Fertile”. Se il collegamento può sembrare azzardato
consiglio di osservare attentamente il copricapo con cui questa
divinità è sempre raffigurata e paragonarlo alla Mitria vescovile.
Perché “Osanna nell’alto dei cieli”? Perché Oannes è uno dei vari
nomi con cui è chiamata la divinità prima sumera, Enki, e poi
babilonese, Ea. En, in accadico sta per signore mentre ki, sta per
Terra. Nell’accezione successiva Ea era invece il signore delle
acque. In entrambi i casi il luogo da cui proveniva e il luogo dove
poi tornò, era il cielo tanto che suo padre era la divinità Anu, o An
che significa cielo. Quindi “osanna nell’alto dei cieli” assume un
significato che va al di là della semplice collocazione celeste di Dio
e del paradiso. Un altro indizio, rintracciabile oggi è che queste
teorie azzardate potrebbero contenere alcune importanti verità,
come l’adorazione che mostriamo nei confronti dell’oro. Il
collegamento alla divinità solare è, a mio parere, troppo debole
per giustificarne l’importanza che vi abbiamo attribuito. Mi
sembra invece più sensato che ciò dipenda da un retaggio che
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abbiamo ereditato dagli Anunnaki, esseri provenienti da Niburu, il
decimo pianeta. Per quale ragione l’oro? Non è il più raro dei
materiali e se sia più bello dell’argento o del rame, alla fine, è solo
questione di gusti. Leggendo questo libro scoprirete quale
potrebbe essere la ragione per la quale gli Anunnaki fossero così
interessati a questo metallo.
Quanto vi sia di verità, quanto mito o deformazione dei fatti, per
quanto concerne la visita di questi Anunnaki, ha un’altra e
fondamentale valenza per la storia dell’umanità. Sui testi sumeri
che descrivono la creazione del mondo e l’arrivo degli Anunnaki si
basano infatti le successive versioni della Bibbia. È sufficiente
leggerli per rendersene conto. Direi che nessuno può obiettare
sull’influenza che la Bibbia ha avuto nella nostra storia, nel bene e
nel male. Leggendo quei testi si comprende perché, nella Genesi,
Dio dica che l’uomo è stato fatto a “nostra” immagine e
somiglianza. A chi si riferiva Dio se egli era l’unico essere esistente?
Questo controsenso è risolto nel momento in cui ci si rende conto
che il testo che ci è giunto della Genesi è un adattamento
monoteistico posteriore, laddove nei testi originali era il consiglio
degli dèi ad affermare la proprietà di quella creazione e il
successivo diritto di sbarazzarsene. Non è forse di fondamentale
importanza conoscere il vero significato del libro su cui si basa la
religione più diffusa al mondo? Un’altra questione che Daniele
affronta, conservandola per la conclusione del libro, è l’ipotesi che
gli Anunnaki, o chi per loro, abbiamo creato la nostra razza. Non si
limita però a questo ma ne analizza le possibili conseguenze, le
possibili anomalie che una tale operazione potrebbe aver causato
nella nostra razza. Questa ipotesi, oltre che interessante di per sé,
mi è molto cara in quanto è sostanzialmente alla base del mio
romanzo “Le colpe del padre”. Cito solo un passo per testimoniare
questa, del tutto casuale, comunità di vedute.
“Quando le acque si ritirano e gli adham tornarono a posare i piedi
sulla terra ferma fu sancito una sorta di accordo tra loro ed il
Consiglio dei Dodici. Non fidandosi troppo della parola dei lulu e
essendo coscienti del fatto che molto presto ne sarebbero stati
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sovrastati numericamente, decisero di adottare alcuni sistemi di
controllo di cui nemmeno si sarebbero accorti. Il primo stratagemma
non fu difficile da attuare perché la predisposizione istintiva degli
adham alla ricerca trascendente era stata fin da subito evidente. Si
decise infatti di creare quella che in seguito venne chiamata religione,
che non per nulla deriva dalla parola latina religo, ossia vincolare,
costringere. Allora gli Anunnaki assunsero il ruolo di divinità potenti
ed esigenti. Quella dedizione e deferenza che nei primi tempi era stata
difficile da ottenere con questo sistema non tardò ad arrivare. Altri
espedienti più semplici e volti a distrarre gli adham dal giogo che
portavano furono cose come il vino, l’ossessione sessuale, i soldi, il
lavoro, la politica e altre cose simili. Con i passare dei secoli, la
distonia tra la tensione interiore e la pulsione verso l’esteriorità rese il
popolo incapace di rendersi conto della propria schiavitù. Infine i
millenni passarono e gli dei abbandonarono i loro sudditi tornando
alla loro dimora celeste. Tutti tranne lui. Enki rimase sentendo il peso
della responsabilità di quello che aveva creato. Era, a quel punto,
ancora convinto di potervi porre rimedio, di rendere gli adham esseri
migliori ma l’imprinting iniziale, scoprì ben presto essere troppo
radicato. Inoltre aveva scoperto che la fusione dei due DNA non era
così brillantemente riuscita. Molte delle difficoltà esistenziali che
affliggevano gli uomini, così si chiamavano ormai, nascevano da
questa inconciliabilità. La loro razza aveva avuto tutto il tempo
necessario per evolversi naturalmente e metabolizzare lentamente il
passaggio tra la non consapevolezza di sé e la consapevolezza. Tra
l’essere specie e l’essere individuo. Passaggio che agli uomini venne
invece imposto dalla loro manipolazione genetica. Infine si rese conto
che non poteva fare più nulla. Fino a quando non si presentò
l’opportunità offerta da questa nuova razza…”.
Ho letto quindi con particolare interesse il libro di Daniele e ne ho
apprezzato l’onestà intellettuale nonché l’ampio spettro culturale.
V’invito a fare altrettanto, a dedicarvi alle pagine di questo libro
che scorrono veloci e comprensibili, anche per chi è digiuno di
quest’argomento.
Gianluca Rampini
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Premessa
Breve apologia della “fantarcheologia”
Chi si occupa di argomenti come questo sicuramente ha
sentito utilizzare la parola “fantarcheologia” in tono
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spregiativo, corredata di un’alzatina di spalle e un sorriso
saccente.
Personalmente, la trovo una parola bellissima. Che ben
definisce una disciplina fondamentale e affascinante.
Fantarcheologia, ovvero fantasia + Archeologia.
La fantascienza (fantasia + scienza, e l’Archeologia essendo
una scienza la fantarcheologia altro non è che un
particolare caso di fantascienza) è stata spessissimo motore
e stimolo da un lato, e ammonitrice dall’altro, per scienza e
tecnologia. Guardatevi in giro, e chiedetevi: quante delle
innovazioni tecnologiche che vediamo circondarci sono
state preconizzate dalla letteratura fantascientifica? Non è
stata forse spesso la tecnologia a inseguire film e libri,
piuttosto che il contrario? E quanti dei disastri ambientali e
sociali a cui assistiamo quotidianamente erano stati
descritti con dovizia di particolare nelle opere di autori
immaginifici?
Così, la fantarcheologia può essere – e ritengo di fatto sia,
nonostante tutto – invece che un “chiodo nella scarpa” per
l’Archeologia accademica, allo stesso modo stimolo e
motore per la ricerca ufficiale da un lato, e monito a non
dare nulla per certo e mantenere gli occhi e la mente
aperta, dall’altro.
E attenzione: ciò che è “fantascientifico” non è per forza
“falso” – semplicemente potrebbe non essere ancora in atto.
Così se qualcosa è “fantarcheologico”, questo non significa
non possa essere vero.
Come potrebbe l’Archeologia procedere senza l’uso
dell’immaginazione, della fantasia e della curiosità del
ricercatore? Cosa spingerebbe lo scienziato avanti,
altrimenti, se non la voglia di immaginare l’antico
splendore dei ruderi che va disseppellendo? Perché
dovrebbe lo studioso preoccuparsi di decifrare antichi
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papiri se non per fantasticare sulle storie di queste persone
vissute tanti anni fa, sulle loro passioni, le loro lotte, i loro
drammi?
Si badi, non sto dicendo che l’Archeologia in quanto scienza
debba rinunciare al rigore e al metodo. Non sia mai. Sto
dicendo che chi si muove da basi propriamente
archeologiche per immaginare e sviluppare teorie
alternative è prezioso per il progredire della ricerca stessa.
È stimolo e creatività, rappresenta l’emisfero destro del
cervello della scienza. E, se lasciato a se stesso non può
generare bizzarrie e sogni fumosi, affiancato e
controbilanciato da un solido emisfero sinistro – incarnato
appunto dal rigore e da un sano scetticismo critico – non
potrà che condurre a buoni frutti.
C’è quindi chi ha il dovere di proporre teorie che possono
parere balzane o estreme, di pungolare il mondo scientifico
e accademico, di costringerlo a porsi dubbi. Certezze troppo
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solide possono soltanto essere disastrose e la Storia lo
dimostra in maniera davvero incontestabile. C’è chi ha il
dovere di suscitare curiosità e inquietudine nel pubblico,
perché la gente non si fossilizzi sulle teorie “ufficiali”, e si
accetti che non sono vere, ma molto probabilmente vere.
Perché si utilizzi meno la parola stessa “verità”, e fiorisca il
modo condizionale a discapito dell’indicativo, e i punti
interrogativi proliferino.
Statuetta di Tell-El-Obeid risalente al 4500 a.C.
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Description:Gli Anunnaki di Nikola Tesla. 101. Panspermia guidata. 102. Il DNA ci parla? 104. Gli nunnaki tra romanzo e realtà: una chiacchierata con Danilo rona.