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Piergiorgio Odifreddi
Umberto Eco
Michael Shermer
James Randi
Paolo Attivissimo
Lorenzo Montali
Francesco Grassi
Andrea Ferrero
Stefano Bagnasco
11/9 LA COSPIRAZIONE IMPOSSIBILE
a cura di Massimo Polidoro
Nuova edizione CICAP
Il complotto ci fa delirare perché ci libera
da tutto il peso di confrontarci da soli con la verità.
Pier Paolo Pasolini
Matthew: It's a conspiracy.
Jack: What's a conspiracy?
Matthew: Everything.
Invasion of the Body Snatchers, 1978
INTRODUZIONE
L’11 settembre 2001 quattro aeroplani dirottati da 19 terroristi
arabi si schiantarono contro le Torri Gemelle a New York,
contro il Pentagono a Washington e solo per poco non
riuscirono a distruggere anche la Casa Bianca o il
Campidoglio. Fu il più grande attacco subìto dagli Stati Uniti
d’America sul proprio suolo dopo quello di Pearl Harbor, nel
1941, una devastazione che provocò la morte di quasi 3.000
persone e mise in ginocchio la più grande potenza mondiale.
Fu anche la tragedia meglio documentata della storia.
Ciò nonostante, a sei anni di distanza da quegli eventi, un
sondaggio della Scripps News Service e dell’Università
dell’Ohio rivelava che un americano su tre era convinto che
dietro gli attentati ci fosse, in un modo o nell’altro, il Governo
statunitense. Negli anni seguenti, la percentuale è scesa,
attestandosi però pur sempre tra il 6 e il 15% nel 2010.
Già il giorno dopo, con le ceneri ancora fumanti, si diffuse la
prima insinuazione. Al-Manar, la rete televisiva di Hezbollah,
e il quotidiano siriano al-Thawra informarono i loro lettori e
telespettatori che 4.000 israeliani che lavoravano al World
Trade Center erano stati avvertiti in anticipo degli attentati e
non si erano presentati al lavoro, scampando così alla morte.
Conclusione: l’attacco era stato programmato dagli israeliani
e dagli ebrei d’America che avevano pensato bene di avvertire
la propria gente di mettersi in salvo.
Non importava nulla che fosse solo una mostruosa falsità e
che, anzi, tra le vittime di quella mattina, a Manhattan, ci
fossero oltre 400 tra cittadini israeliani e americani di
religione israelita o etnia ebraica. Lo accertarono e lo
confermarono la polizia di New York, i vigili del fuoco,
l’obitorio, il coroner, il medico legale, il Dipartimento di
Stato, le occhiutissime compagnie di assicurazione e tutti i
giornali più importanti. Non importava nulla. L’idea del
“complotto sionista” aveva già messo radici e aveva dato la
stura a una valanga inarrestabile di ipotesi cospirazioniste di
ogni tipo.
Oggi, se si cercano con Google le parole 9/11 e conspiracy si
trovano quattordici milioni di pagine web dedicate a sostenere
questa o quella teoria del complotto. A questo si aggiungono
oltre 3.000 saggi e decine di film e documentari pubblicati su
Internet o su DVD che propagandano la “vera storia” dell’11
settembre, in contrapposizione con la versione ufficiale.
Ancora una volta, poco importa che quella che viene
presentata come la “versione ufficiale” o la “versione
governativa” non sia il frutto del lavoro di un manipolo di
oscuri personaggi che, dopo essersi chiusi per un po’ in una
stanza fumosa, se ne sono usciti con una verità
preconfezionata da spacciare al mondo. La ricostruzione di ciò
che avvenne quel giorno, infatti, è il frutto di innumerevoli
fonti: non solo la Commissione d’inchiesta governativa
sull’11/9 e le indagini promosse dal Congresso degli Stati
Uniti, ma anche le verifiche, le ricerche e le indagini condotte
da organizzazioni e istituzioni indipendenti, come l’American
Society of Civil Engineers, la National Fire Protection
Association, la Federal Emergency Management Agency, gli
Underwriters Laboratories, il National Institute of Standards
and Technologies; facoltà universitarie come quella di
Columbia, la Purdue University, il Massachusetts Institute of
Technology o la Northwestern University; il lavoro e le
inchieste di migliaia di giornalisti provenienti da ogni parte
del mondo; i resoconti di migliaia di testimoni oculari;
migliaia di fotografie e ore di filmati disponibili; le
trascrizioni e le registrazioni di conversazioni telefoniche,
trasmissioni sul controllo aereo e altri tipi di comunicazioni e,
non ultime, le parole dello stesso Osama bin Laden, il leader
del gruppo terroristico di al-Qaeda ritenuto responsabile degli
attentati. Bin Laden ha più volte discusso nei suoi messaggi al
mondo i dettagli dell’operazione e ha pubblicamente
dichiarato: «Sono io responsabile per avere assegnato i ruoli ai
19 fratelli che hanno condotto queste conquiste».
Un consenso enorme, insomma, che non può essere in alcun
modo ricondotto solo a quello che il presidente George W.
Bush o chi per lui avrebbe voluto fosse raccontato.
Tra coloro che ritengono di avere scoperto la “verità”, invece,
sono in molti quelli che sostengono che l’amministrazione
Bush avrebbe concepito e realizzato un complicatissimo piano
per colpire gli Stati Uniti e avere così il pretesto di scatenare
una guerra in Afghanistan e in Iraq, per poi mettere le mani
sul petrolio di quella nazione. Proprio come alcuni ritengono
che, nel 1941, il presidente americano Roosevelt lasciò che i
giapponesi colpissero Pearl Harbor ottenendo così la
giustificazione decisiva agli occhi del Congresso e
dell’opinione pubblica per fare entrare gli Stati Uniti in
guerra.
Che Bush e i suoi abbiano letteralmente approfittato degli
attentati per i loro più o meno nascosti interessi di parte sono
in pochi a dubitarlo. Saddam Hussein non nascondeva armi
chimiche e non aveva collaborato in alcun modo agli attentati,
eppure Bush riuscì a fare approvare una nuova guerra contro
l’Iraq approfittando del dolore e dell’indignazione di una
nazione ferita e presentando prove che si sono poi rivelate
false.
Ma che il presidente americano e i suoi sodali abbiano mentito
su tante cose, soprattutto sulle vere ragioni della guerra, non
prova in alcun modo che gli attacchi dell’11 settembre siano
stati provocati dallo stesso governo.
Invece, sulla base di una manciata di anomalie, una serie di
interpretazioni errate, alcune manomissioni e tante
ricostruzioni selettive, si sostiene che nulla di quello che ci
dicono giornali e TV sarebbe vero. Si tratterebbe insomma di
un gigantesco complotto che coinvolge anche tutti quelli che
si mostrano scettici verso le tante ipotesi alternative.
Sì, perché, come in ogni teoria del complotto che si rispetti,
non c’è un’unica teoria valida e onnicomprensiva, ma
piuttosto tante versioni. C’è chi ritiene responsabili Bush e i
suoi cortigiani e chi invece lo vede come un complotto
israeliano. Chi lo interpreta come una cospirazione ordita dai
baroni del petrolio e dai fabbricanti di armi e chi invece dà la
colpa alla CIA e ai servizi deviati. C’è chi pensa che gli
attentatori sarebbero stati partner volontari, chili considera
involontari complici manipolati dall’alto e chi addirittura
afferma che non sarebbero mai esistiti. Così come non
sarebbero nemmeno mai esistite le 265 persone imbarcatesi
sui quattro voli schiantatisi quella mattina. O, se sono esistite,
ora sarebbero state uccise dall’esercito o traslocate in qualche
base segreta e isolata dal resto del mondo.
Credere a una teoria cospiratoria piuttosto che un’altra porta a
dovere accettare ipotesi sempre più drastiche e sempre meno
probabili. Quante centinaia di migliaia di persone dovrebbero
essere necessarie per realizzare tutto questo? Forse qualche
milione, visto che solo i dipendenti del Governo federale sono
un milione e novecentomila. Possibile che non ci sia nemmeno
una “gola profonda” che si faccia avanti per spifferare tutto?
Non una sola persona rosa dal rimorso per essersi resa
complice di uno dei più grandi crimini dell’umanità. È
possibile credere questo?
Probabilmente, l’idea che l’11 settembre sia stato un
complotto governativo, piuttosto che un attacco terroristico
arabo, va ricercata nella idealizzazione che molti hanno degli
Stati Uniti e dei loro mezzi militari. Se i caccia non si sono
alzati in volo immediatamente per abbattere gli aerei dirottati
significa che qualcuno aveva ordinato loro di non farlo. Il fatto
che il sistema di difesa aerea americano fosse progettato per
difendersi da attacchi esterni e non interni; il fatto che i
terroristi disattivarono il transponder quasi subito dopo il
dirottamento, impedendo così di localizzare i loro aerei; il
fatto che i protocolli burocratici e le catene decisionali
allungassero in maniera spropositata i tempi di reazione; il
fatto che nessuno avesse previsto un attacco di quel tipo e non
fosse in alcun modo preparato a reagire di conseguenza; il
fatto insomma che abbiamo a che fare con persone, capaci di
sbagliare come tutti quanti, e non con supereroi infallibili non
viene preso minimamente in considerazione da chi sostiene le
ipotesi di complotto[1].
[1] L’unica volta prima dell’11 settembre 2001 in cui l'aviazione
americana si trovò costretta a intercettare un aereo che non rispondeva
alle chiamate dei controllori di volo fu nell’ottobre del 1999, quando sul
jet del campione di golf Payne Stewart, che volava a 12.000 metri
d’altezza, ci fu una depressurizzazione e passeggeri ed equipaggio
persero conoscenza. Un caccia F-16, che oltretutto si trovava già in volo
per una missione di addestramento, impiegò ben un’ora e 19 minuti per
raggiungere l’aereo in panne. E il transponder del jet era pure acceso.
Si arriva insomma al paradosso per cui chi mira ad addossare
agli Stati Uniti l'orribile colpa degli attentati subiti lo fa sulla
base di un’irreale idealizzazione della potenza e
dell'infallibilità americana.
E qui si rivela anche una componente di razzismo nemmeno
tanto occulta. Dietro quante di queste teorie, infatti, c’è l’idea
che un gruppo di arabi che vivono nelle caverne, o
«diciannove beduini armati di taglierino e spray al
peperoncino», come si legge sul sito Luogocomune.net, non
sarebbero mai stati in grado di realizzare qualcosa del genere?
Ebbene, tutti gli elementi a disposizione, se osservati in
maniera critica e non con il paraocchi della paranoia, ci dicono