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L’invenzione del Nemico
Sellerio editore Palermo
Questo libro, in cui si condensano decenni di studi eruditi, profondi, incantevoli e incanta
ti, nasce da un’antica passione e da una attuale preoccupazione. L’antica passione è l’inte
resse che Franco Cardini, uno dei maggiori storici italiani, ha nutrito fin da ragazzo per il
medioevo e l’Oriente medievale, l’uno immerso nell’altro e inseparabili, fonte di meravi
glie e di avventure della mente, del commercio e della spada. La preoccupazione è che tutta
questa ricca eredità venga spazzata via, con la potenza di cui la superficialità e l’ignoranza
possono essere dotate dalla tecnica di oggi, dall’idea dell’Islam come il «nemico metafisi
co», dall’idea di un «nuovo scontro di civiltà» dal quale non potrebbe emergere per noi che
un totalitarismo dai tratti sconosciuti. Ebbene questo libro intende dimostrare che uno
scontro di civiltà tra Oriente e Occidente, tra civiltà cristiana e islamica, non solo non c’è
mai stato, ma al contrario è esistito sempre uno scambio fecondo, una sostanziale parente
la, di cui lo scontro armato, la cosiddetta crociata, non è stato che un risultato di superficie
(un «epifenomeno» dice l’autore), o addirittura non è stato che il pretesto che ha facilitato
e moltiplicato le occasioni di incontro. Questo fine dimostrativo (che per Cardini ha un
valore «civico») è condotto con l’acume della scienza storica più sottile, più documentata,
più circostanziata. Ma ad essa la passione dona per così dire le ali. Per cui il lettore è preso
in un volo entusiasmante attraverso un favoloso e fastoso medioevo orientale occidentale.
Che scopre lentamente e leggendariamente, il vicino Islam. Che passa dalla leggenda all’at
tenzione e dall’attenzione alla scoperta di un tesoro di cultura (la filosofia, la scienza, la
medicina, la magia, la matematica, la letteratura perfino), che dirozza un Occidente fino a
quel momento dimentico e dimenticato, e dà vita, col Duecento, a uno dei secoli più lumi
nosi della storia europea. Che conosce l’avventura del pensiero di alcuni studiosi che favo
riscono le traduzioni in una Spagna nodale di contatti tra latini e arabi, e quella di alcuni
saggi regnanti (Federico I, o Alfonso n Sapiente di Castiglia) che, pur nelle guerre e negli
scontri, promuovono i legami. Che conosce l’avventura di alcuni grandi mediatori, quali
San Francesco d’Assisi o Raimondo Lullo che ne coltivano il clima adatto. Che impara a
copiare dall’Oriente il gusto per la moda, per gli ornamenti. E che infine dall’Oriente
comincia a separarsi, fino a odiarlo (col culmine nello spirito di Lepanto); per poi obliarlo e
riavvolgerlo nell’invenzione della leggenda. E, alla fine di questo volo, davvero è difficile
che il lettore possa sottrarsi alla conclusione che Cardini proclama: «mi rendo conto che
senza Oriente noialtri “occidentali” non possiamo né vivere né definir noi stessi».
Franco Cardini è nato a Firenze nel 1940. Insegna Storia medievale all’Università di Firenze. Da
oltre un trentennio si occupa di rapporti tra Cristianità e Islam. Ha scritto Alle radici della cavalle -
ria medievale (1981), QueWantica festa crudele (1982), Il Barbarossa (1985), Francesco d’Assisi
(1989), Giovanna D'Arco (1990), Im vera storia della Lega lombarda (1991), Alla corte dei papi
(1995), Il guardiano del Santo Sepolcro (2000), Europa e Islam. Storia di un malinteso (2000) e, con
Sergio Valzania, Le radici perdute dell'Europa (2000). Con questa casa editrice, Le mure di Firenze
inargentate. Letture fiorentine (1993).
In copertina: Miniatura da un testo arabo del l229. Biblioteca |$bn
del Museo Topkapi, Istanbul.
Prezzo Euro 15,00 [9
Franco Cardini
L’invenzione del Nemico
Introduzione di
Sergio Valzania
Sellerio editore
Palermo
2006 © Sellerio editore via Siracusa 50 Palermo
e-mail: [email protected]
Cardini, Franco
L’invenzione del Nemico / Franco Cardini ; introduzione di Sergio Valzania. -
Palermo : Sellerio, 2006.
(Nuovo Prisma / collana diretta da Antonino Buttitta ; 67)
ISBN 88-389-2101-6.
1. Islamismo-Diffusione-Paesi Mediterranei-Sec. 11.-15 I. Valzania, Sergio.
909.097671 CDD-21
CIP - Biblioteca centrale della Regione siciliana «Alberto Bombace»
Indice
La stoffa della storia di Sergio Valzania 9
L’invenzione del Nemico
Prefazione 17
I La crociata, l’Islam e l’invenzione del Nemico 23
II Cristiani e musulmani 38
III L’Islam nello Pseudoturpino 75
IV Lingue, libri e traduzioni 84
V Mediazioni culturali e scambi di conoscenze 100
VI I custodi del Tempio 112
VII Il Giubileo e la crociata 122
VIII Scienza, magia, crisi del Trecento e ascesa dei Turchi
Ottomani 132
IX La Cipro dei Lusignano e il Mediterraneo orientale 159
X Il pellegrino come antropologo. Lionardo di Niccolò
Frescobaldi, fiorentino 169
XI Alessandro VI e la crociata 179
XII Tra Gerusalemme e Lepanto. Torquato Tasso 186
XIII Il fedelmaresciallo Montecuccoli dinanzi al Turco 195
XIV La nascita della leggenda dei Templari 200
XV La seconda vita dei Templari: dal Settecento ad oggi 217
XVI Dai «Lombardi» al «Jérusalem». Fra mito romantico
e realtà storica 232
La stoffa della storia
di
Sergio Valzania
Storia e mitologia sono tagliate nella stessa pezza di stoffa. Si tratta di
attività creative, alla cui base sta il raccontare, l'evento che rende l'uomo
diverso dall’animale e simile a Dio: capace di trarre qualcosa dal nulla,
di far esistere ciò che prima non c’era. Quando nacque, ad Atene, ad ope
ra di Epimenide cretese e ancora non aveva il nome di storia, 1 attività di
raccontare gli eventi trascorsi fu chiamata «profezia sul passato», rico
noscendo che il talento necessario per il suo esercìzio era per lo meno pa
ri, ma probabilmente superiore, alla profezia tradizionale, rivolta al fu
turo. Già di Calcante, presentato nell'\liade come il migliore dei vati, si
esalta la conoscenza dì passato, presente e futuro, senza una esplicita ge
rarchia di difficoltà, ma con la presunzione che il primo fosse il più na
scosto e il più difficile da riportare alla luce, mentre per l'ultimo rimaneva
sempre viva la speranza, tenue, di incontrare un fatto che rendesse veri
dico il vaticinio. La narrazione dei modi nei quali le profezie si avvera
vano sempre, spesso contro le aspettative in apparenza legittime di chi le
aveva chieste, costituiva per i greci antichi un genere letterario.
La storia, come la mitologia, non va in cerca dell'oggetto del proprio
studio. Piuttosto lo crea da una materia solida, ma priva di organizzazione;
lo storico agisce come lo scultore che trae dal blocco di marmo la figura che
ha immaginato. Il passato, storico o mitologico che sia, prende forma e la
mantiene solo se lo si racconta e poi si perpetua la narrazione, e in questo
modo che le gesta degli avi conservano la loro funzione identitaria rispetto
alla comunità che le ricorda e di questo ricordo assicura la permanenza.
Così facendo la comunità si rinnova e rimane se stessa, vive.
A quella che per i greci antichi era la mitologia, la Grecia classica so
stituì la storia, pretendendo di spiegare che si tratta di due fatti intellet
tuali diversi, anche se i fili dell’una e dell'altra si intrecciano strettamente,
fino a confondersi, nell'ordito e nella trama del racconto dì Erodoto e Tu
cidide, dove il passato lontano si affaccia nella forma che indossava
d'abitudine: il mito. Neppure oggi, con tutto il nostro sapere a volte pre
suntuoso, riusciamo a distinguere con esattezza l'appartenenza di questo
o dì quel passaggio narrativo ad un territorio o all'altro. Il ritorno degli
eraclidi si confonde con la calata dei dori. Come gli elettroni di Hei
senberg, gli elementi primi del racconto del passato non accettano di di
chiarare per intero la propria identità.
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La pretesa di una storia documentale nella quale il racconto segue lo
studio del documento e stata falsificata. A monte di ogni ricerca esiste un
progetto e nessuna fonte parla senza venire interrogata e risponde solo al
la domanda che le viene fatta. Ogni oracolo si affida all'interpretazione
di chi lo ha richiesto.
In Storia e memoria Jacques Le Goff nega che esista un «docu
mento-verità» e arriva a sostenere che «ogni documento e menzogna», do
ve per menzogna dobbiamo intendere creazione fantastica o forse meglio
strumento capace, e necessario, di tale evocazione. Lo storico esibisce il
documento a sostegno di una teoria per difendere la quale il documento
stesso è stato cercato, e in ogni caso la scelta di un documento rispetto a
tutti gli altri appartiene allo storico e non alla storia.
Nel Pensiero selvaggio Claude Lévi-Strauss si spinge ancora oltre e
nega che i fatti storici siano esistiti nella forma nella quale vengono og
gi raccontati. Porta l’esempio della rivoluzione francese per sostenere che
«così come se ne parla, non e mai esistita». Il perché di questa afferma
zione è di una chiarezza abbagliante: la rivoluzione francese, allo stesso
modo di ogni altro evento storico, è riconoscibile nelle forme nelle
quali viene ricostruito e tramandato, narrato, solo ex-post. Per i suoi pro
tagonisti, per chi l'ha vissuta, fu altro che per chi l'ha raccontata e ne ha
tramandato la narrazione. Anche quando attore sociale e narratore sono
la stessa persona le due funzioni la collocano in momenti e ruoli diver
si. Si dà testimonianza solo dopo che i fatti sono avvenuti e per raccon
tarli occorre dare forma alla narrazione, creare un senso, imporre un per
corso, individuare una catena consequenziale per quanto si vuole o si de
ve riferire, produrre una maglia di correlazioni causali e temporali che con
netta un universo di eventi altrimenti privo di ordine.
Da questo insieme di particelle che ruotano in maniera confusa
traiamo i percorsi del nostro passato e, come fanno i bambini con le nu
vole, ne battezziamo le forme quando ci pare di riconoscerle. Così fac
ciamo esistere la rivoluzione francese o l'impero romano, che né Cesare
né Ottaviano sapevano di aver fondato. Poco male, dato che i loro
successori se ne accorsero presto. Per il medioevo trascorsero mille anni
senza che nessuno notasse la sua esistenza, e oggi quasi tutti ne parlano
dandola per scontata tanto quanto quella della muraglia cinese, come se
le pietre delle cattedrali gotiche fossero i resti del materiale duro che co
stituì l'età di mezzo. Per inciso, anche delle cattedrali, che fossero goti
che ci si accorse solo dopo che erano state costruite. Che ci sia stato l'el
lenismo lo ha scoperto, inventato, Droysen milleottocento anni dopo che
era finito.
I grandi fatti della storia sembrano visibili solo quando non ci sono
più e di solito vederli, riconoscerli é un modo per parlare, anche, d'altro.
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Per raccontare il presente, oltre che il passato, e per condizionare il futuro,
sul quale la profezia ambisce sempre a incidere. La profezia fonda i fat
ti che avverranno prima ancora di disvelarli.
Fin dal titolo, centrato sulla parola invenzione, questo libro di
Franco Cardini abbraccia il punto di vista che ho tentato di esplicitare, for
se più di quanto lui stesso farebbe. Lo sostiene nell'affrontare le questio
ni storiche riferite a quello che oggi parte dell Occidente giudica il nemi
co per antonomasia: l'IsIam. Lo storico fiorentino si pone davanti alla nar
razione storica e ne dichiara le componenti mitologiche, le semplificazioni
narrative che col tempo vengono riconosciute come verità, gli accorpamenti
di eventi diversi che si trovano costretti insieme per comporre un'epopea che
non e mai esistita nella forma nella quale viene letta oggi. Se la rottura del
bacino mediterraneo individuata da Pirenne si è realizzata questo non ha
significato la continua contrapposizione fra le sue sponde meridionale e set
tentrionale, né il precipitare di questa contrapposizione nell'evento deci
sivo delle crociate, che, per riprendere Lévi-Strauss, non sono mai esisti
te nella forma nella quale se ne parla oggi.
I primi secoli del millennio trascorso videro l'allargamento dei regni
cristiani nello scacchiere occidentale con la reconquista della penisola ibe
rica, ma anche delle isole maggiori del Mediterraneo e in particolare del
la Sicilia, mentre ad oriente, dopo una breve avanzata franca, fu il gio
vane impero ottomano ad estendersi, fino ad arrivare a minacciare il cuo
re dell'Europa. All'interno di questa avventura, alla quale neppure la sco
perta dell'America fu estranea - le caravelle di Colombo avevano la cro
ce sulle vele - si inseriscono le imprese dei cavalieri franchi in Terra San
ta, in Morea, alla foce del Nilo, in Anatolia, addirittura a Costantinopoli
e il loro confronto con i Saraceni, il più celebre dei quali fu Saladino il
Magnifico che nel 1187 riconquistò Gerusalemme all'Islam. Si trattò di
fenomeni complessi, che durarono secoli, nel corso dei quali gli attori mu
tarono mentre cambiavano i loro caratteri. Due secoli sono il tempo che
ci separa dalle guerre napoleoniche.
Dal disordine degli eventi sono emerse col tempo delle parole. Im
piegate inizialmente per renderli conoscibili, per spiegarli, hanno finito,
come spesso accade, per condizionarne la comprensione e per nasconderli.
La reconquista iberica fu lo slogan che definì un fenomeno ben più com
plesso di una guerra fra due schieramenti: i regni cristiani e i regni dei mo
ri, nella quale i primi ebbero il sopravvento. Lo stesso Cid, l'eroe della vi
cenda, il conquistatore di Valencia, combattè nell'uno e nell'altro cam
po, in una situazione di mobilità delle alleanze tipica di tutta l'Europa del
medioevo feudale. Al-Andalus fu una realtà multiforme e articolata, che
conobbe molte stagioni: l'Alhambra di Granata fu costruita solo a par
tire dal XIII secolo. Anche i quasi duecento anni del regno di Gerusa-
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lemme, con ì novanta di occupazione cristiana della Città Santa, furono
un periodo complesso, guerra e pace si alternarono mentre scam
bi economici e culturali si sviluppavano frenetici. Negli stessi anni tutta
l'area bizantina venne investita dal fenomeno con una forza almeno equi
valente a quella esercitata sulla Palestina.
Secoli di eventi e di azioni sono stati riordinati in un passato linea
re, per raccontarlo, per tramandarlo. Perché non esiste altro modo per or
ganizzare una narrazione. Nel momento nel quale si compiva la sua rior
ganizzazione il passato veniva caricato di un senso che non gli era proprio;
esso apparteneva piuttosto a chi effettuava la ricostruzione, assumeva il
compito di narratore. Per raccontare occorrono modelli, percorsi, bisogna
creare paradigmi esplicativi, il cui valore cambia di segno quando la lo
ro pretesa è di avere una intenzione esaustiva anziché problematica.
Che poi è proprio questa l'unica distinzione possibile fra storia e mito. Il
secondo è esemplare, certo per definizione. La sua affermazione fonda il
mondo sul quale continua ad agire. La storia vive di dubbi, di ap
profondimenti, di riscritture, di ricerche di nuovi documenti. E revisio
nista per natura e fin dall inizio, da quando il suo primo cultore rico
nosciuto, Erodoto, venne criticato per aver raccontato le guerre persiane
con eccessiva attenzione alle ragioni degli sconfitti.
Analizzato da Cardini il bacino del Mediterraneo e le terre che lo cir
condano appaiono, nei secoli che vanno dal 1000 al 1400, brulicanti di
fermenti, in scambio permanente di merci e di persone, in guerra ma an
che in pace, mentre il grande pendolo della storia nella sua continua e mi
steriosa oscillazione si ritrae dal civile Islam per tornare sull allora rozza,
povera e incolta Europa occidentale, ma vivificata da uno sviluppo de
mografico tumultuoso, così violento da renderla capace di superare il di
sastro della grande peste del 1348-51, e dalla rinascita di industrie e com
merci. Del fatto che si stessero gettando le basi per una ostilità fra due
blocchi contrapposti, destinata a durare secoli e secoli, secondo Cardini
non ci sono tracce e i conflitti di allora non sono alla radice di quelli esi
stenti ai giorni nostri.
Sergio Valzania
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